Uno tra i grandi scrittori e poeti italiani del XX° secolo è stato il piemontese Cesare Pavese, nato a Santo Stefano Belbo (Cn) il 9 settembre 1908, e morto a Torino il 27 agosto 1950 all’età di 42 anni. Venuto al mondo in una famiglia agiata che viveva nelle Langhe, passò l’infanzia tra una balia e l’altra a causa dei delle condizioni di salute precarie e dei lutti che colpirono la sua famiglia, per cui la madre ebbe bisogno d’aiuto. Pavese compì i suoi studi classici a Torino, avvicinandosi alle letture di Gabriele D’Annunzio, Vittorio Alfieri, e, durante gli anni universitari, appassionandosi, mentre scriveva, soprattutto di Walt Whitman, ma anche Hemingway, Lee Masters, Cummings, Lowell, e la Stein. Tra gli intellettuali strinse poi amicizia con Leone Ginzburg, Norberto Bobbio, Massimo Mila e Giulio Einaudi. Tra romanzi, racconti, poesie, diari e saggi, Pavese è ricordato, in particolare per La luna e i falò, La casa in collina, , La bella estate (per cui ricevette il Premio Strega), Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, Notte di festa, Lavorare stanca, Il mestiere di vivere.
Pur scrivendo sempre nella sua vita, Cesare Pavese lavorò come insegnante e traduttore, traducendo opere come Moby Dick di Herman Melville (per un compenso di mille lire) e Riso nero di Anderson. Lavorò, inoltre, per la casa editrice Einaudi, e, dopo essere stato arrestato e condannato ingiustamente al carcere sotto il regime fascista, fu confinato per alcuni anni. Traspose nei suoi scritti le vicende della quotidianità fin dalla giovinezza, durante la guerra, del ritorno a Torino, dell’amore per le donne, e delle emozioni del suo animo, scosso anche dalle delusioni amorose, che gli fecero provare un profondo disagio esistenziale. Quest’ultima condizione, infatti, lo portò a suicidarsi con il sonnifero in una camera dell’albergo “Roma” in piazza Carlo Felice a Torino. Trovato disteso sul letto, tra le ultime parole scritte, lasciò: “Ho lavorato, ho dato poesia agli uomini, ho condiviso le pene di molti. Ho cercato me stesso”.
Simona Cocola