ROMA. Attualmente sono decine gli airgun impiegati per la ricerca di giacimenti d’idrocarburi in mare, e svariate le settimane di continue e violente detonazioni, a intervalli di circa dieci-quindici secondi dall’impatto sonoro.
Strumenti utilizzati nelle prospezioni geofisiche in molte aree marine, gli airgun generano bolle di aria compressa nell’acqua. Gli effetti dannosi delle esplosioni sull’ecosistema marino, e nel Mediterraneo, sono documentati in numerosi studi. Questo il motivo per cui Greenpeace Italia ha chiesto al ministro dell’Ambiente Sergio Costa e al ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio una norma per vietarne per sempre l’uso mari italiani.
«È ora che questa follia si concluda, non ha alcun senso continuare a bombardare il nostro mare per estrarre riserve limitate che non ci garantiscono nessuna indipendenza energetica, ma solo rischi ambientali ed economici. Chiediamo a chi in passato ha sostenuto la battaglia per fermare le trivelle, e che adesso è al governo del Paese, di agire in maniera coerente, vietando gli airgun. In mare nessuna area è idonea a questo tipo di attività», ha dichiarato Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia.
Negli ultimi anni Greenpeace ha elaborato tre rapporti che segnalano come l’industria petrolifera, dall’Adriatico allo Ionio, fino ad arrivare allo Stretto di Sicilia, non abbia avuto scrupoli a bombardare aree di rilevante pregio naturalistico, importanti per le risorse della pesca, e in cui sono presenti tartarughe, balene, o altri cetacei.
Secondo l’organizzazione ambientalista, se l’Italia vuole davvero rispettare l’Accordo di Parigi sul clima, non può sfruttare le poche riserve d’idrocarburi disponibili, ma deve puntare su efficienza e fonti rinnovabili, pertanto chiede che si apra un confronto sulle prospettive energetiche del Paese.