Secondo giorno di consultazioni per Mario Draghi, il presidente del Consiglio incaricato a partire dalla tarda mattinata odierna incontrerà nell’ordine le Autonomie, Liberi e Uguali e Italia Viva, mentre nel pomeriggio inoltrato sarà il turno di Fratelli d’Italia, Partito Democratico e Forza Italia. Sabato, giorno finale per le consultazioni, avranno luogo gli incontri con Lega e Movimento 5 Stelle. I colloqui per ogni partito si protrarranno per mezz’ora o un’ora al massimo, durata che è determinata dal peso politico del gruppo.
Anche a livello economico i mercati continuano ad apprezzare l’incarico all’ex presidente della Banca centrale europea: lo spread tra Btp e Bund rimane appena sotto quota cento punti. Un vero e proprio record che non si verificava dalla fine del 2015.
Dopo il primo giorno di consultazioni l’ex presidente della Bce sembra aver ampliato il fronte dei consensi: dopo le dichiarazioni pubbliche di endorsment da parte di Emma Bonino, rappresentante di Radicali, + Europa e Azione dei gruppi Misti di Camera e Senato, di Giovanni Toti (Cambiamo), Bruno Tabacci (Centro Democratico) e Antonio Tasso, rappresentante di Maie-Psi, anche Forza Italia, Italia Viva e Pd sembrano orientate ad appoggiare un possibile governo Draghi.
Per gli azzurri il via libera arriva direttamente da Silvio Berlusconi, la cui opinione non si è fatta condizionare degli altri alleati di centrodestra. La scelta del presidente della Repubblica di conferire a Mario Draghi l’incarico di formare il nuovo governo va nella direzione indicata da qualche settimana dallo stesso Cavaliere e dal suo partito ovvero quella “di una personalità di alto profilo istituzionale attorno alla quale si possa tentare di realizzare l’unità sostanziale delle migliori energie del Paese“. In una nota ufficiale ha inoltre ricordato “l’antica stima” che lo lega al premier incaricato, nominato Governatore della Banca d’Italia nel dicembre del 2005 durante il terzo governo Berlusconi.
Per FdI Giorgia Meloni ha ribadito in più occasioni la volontà ferma di non voler dare la propria fiducia ad un governo tecnico e di non voler far parte di un esecutivo nel quale sono presenti Pd e M5S.
Nel bel mezzo di un dilemma amletico si trova la Lega, che non ha ancora deciso, anche se preferirebbe non collaborare con i pentastellati. Matteo Salvini sulla situazione attuale ha dichiarato: “Abbiamo un’idea di Italia che è diversa da quella di Grillo. Dovrà essere Draghi a scegliere i suoi progetti. Noi siamo a disposizione, non diciamo né sì né no a priori“. Un’apertura importante dalla Lega arriva da Giancarlo Giorgetti che ha definito Draghi un “fuoriclasse come Cristiano Ronaldo che non può stare in panchina“. Parole che lasciano qualche spiraglio, anche se la cooperazione con quelli che vengono considerati gli avversari politici sembra davvero complicata.
Se per Matteo Renzi e suoi l’appoggio a Draghi sembra scontato, un discorso diverso va fatto sul fronte del Partito democratico il cui desiderio non troppo nascosto è quello di aderire ad una maggioranza “larga ed europeista”. Ieri Luca Zingaretti ha affermato che per la nascita di un nuovo esecutivo è necessario un allargamento in Parlamento alle forze “moderate, liberali e socialiste”. Dichiarazioni che sembrano contemplare una possibile convivenza con Forza Italia, ma escludono completamente la Lega, definita dallo stesso segretario Dem “forza alternativa” al Pd.
Dulcis in fundo rimane il Movimento 5 Stelle che sarebbe intenzionato a seguire la volontà degli iscritti, non è casuale che questa mattina sia arrivato a Roma Davide Casaleggio, presidente dell’associazione Rousseau e figlio del fondatore del Movimento, che ha dichiarato: “Qualunque sarà lo scenario politico possibile c’è ampio consenso sul fatto che l’unico modo per avere una coesione del Movimento 5 stelle sarà quello di chiedere agli iscritti su Rousseau“. Anche Beppe Grillo sarebbe atteso da un momento all’altro nella Capitale.
Ieri alcune delle affermazioni del premier uscente, Giuseppe Conte, sembrano invitare i pentastellati alla collaborazione con l’ex presidente della Bce, ma rimane la scheggia impazzita interna al movimento rappresentata dai fedelissimi di Alessandro Di Batista, pronti alla scissione in caso di adesione al governo Draghi.
A Montecitorio, con l’appoggio di M5s, Draghi arriverebbe a un numero di voti compreso tra 441 e 451: 191 di M5S, 93 del Pd, 91 di Fi, 28 di Iv, 4 di Azione, 15 di Centro Democratico di Tabacci, 4 del Maie, 4 delle minoranze linguistiche, 12 di Nci. Solo questi partiti in totale raccoglierebbero 349 voti a favore. Leu al momento è spaccata tra i 7 di Art.1 che sembrano più favorevoli e i 5 di Sinistra italiana che stanno riflettendo. In più ci dovrebbero essere 3-4 voti dal gruppo Misto.
In definitiva la maggioranza assoluta di 316 voti verrebbe ampiamente superata anche in caso di scissione dell’ala legata a Di Battista. La Lega, dopo l’apertura di Giancarlo Giorgetti, sigillerebbe in una botta di ferro la Camera portando in dote altri 131 voti, per un totale di 480 voti. Mentre Fratelli d’Italia, con 33 parlamentari, voterà per il no o al più su una astensione se altrettanto faranno gli alleati di centrodestra.
In Senato lo scenario sembra simile, anche se i numeri sono diversi: per raggiungere la maggioranza, occorrono almeno 161 sì (il plenum è costituito da 315 senatori eletti e 6 a vita). Soglia che verrebbe ampiamente superata nel caso di appoggio da parte del M5s: 92 del Movimento, 35 di Pd, 18 di Iv, 52 di Fi, 10 Europeisti, 7 delle Autonomie, 17 su 22 del gruppo Misto (tra essi anche i senatori a vita Cattaneo, Segre e Monti, mentre non votano da tempo Rubbia, Piano e Napolitano). Per un totale di 231 voti favorevoli.
A Palazzo Madama la maggioranza verrebbe raggiunta anche se i circa 10 senatori vicini a Di Battista uscissero. Se poi Salvini portasse la Lega sul fonte del sì, Draghi potrebbe aggiungere i 63 voti della Lega, per un totale di 294 voti. Ininfluente la decisione di Fdi con 19 senatori. Va ricordato che il governo Conte, nell’ultima fiducia si era fermato a quota 156 voti, che paragonati ai possibili 231 (per non parlare dei 294) rappresenterebbero un bello smacco per l’avvocato del popolo e il suo esecutivo.