Sono trascorsi 20 anni dalla scomparsa di Giulio Einaudi, avvenuta il 5 aprile 1999, il cui nome è legato alla cultura italiana del Novecento e alla casa editrice fondata nel 1933. Era un ventenne pieno di coraggio per intuire che quella dell’editoria sarebbe stata una carta vincente quando decise di compiere l’impresa. A Torino, insieme con un gruppo di amici, tentò il tutto per tutto, mettendosi in gioco in un momento storico, il ventennio fascista, difficile per l’Italia. «È uno struzzo, quello di Einaudi, che non ha mai messo la testa sotto la sabbia», è riportato sul sito Giulio Einaudi editore, firmato Norberto Bobbio, riferendosi al logo del marchio torinese.
L’avventura di Einaudi iniziò con l’intellettuale Leone Ginzburg, primo direttore editoriale, pubblicando libri di economia e storia, per arrivare alla letteratura nel 1939 con ”Le occasioni” di Montale. Alla casa editrice si uniscono Massimo Mila, Norberto Bobbio, Cesare Pavese, Natalia Ginzburg, e Giaime Pintor. Negli Anni Quaranta si dà spazio alla narrativa italiana, oltre che a quella straniera, promuovendo autori tra cui Fenoglio, Lucentini, Ottieri, Lalla Romano, Rigoni Stern, Anna Maria Ortese, e Sciascia.
La grandezza di Einaudi nasceva anche dalla sua intuizione immediata per la qualità di un libro, pare senza nemmeno leggerlo, basandosi sulle discussioni di chi, invece, l’aveva visionato. Dalle testimonianze di chi lo conosceva, si evince che non mirasse alla quantità di libri venduti, quanto al valore che gli scritti avrebbero apportato in ambito culturale.
«Era un uomo che amava la vita e cercava di far sì che ogni giorno fosse memorabile, fatto di emozioni, entusiasmi, ricerche e scoperte. Se qualcosa si può prendere da lui è la sua voglia di capire e progettare il futuro. Non conosceva la nostalgia, che, sempre proiettato in avanti, a progettare, a trovare giovani talenti, giudicava un sentimento negativo», ricorda lo scrittore Ernesto Ferrero, il quale per numerosi anni ha lavorato per Einaudi.