FORLI’. Dal genere storico alla rappresentazione della vita moderna, dall’arte di denuncia sociale al ritratto, al paesaggio: sono i percorsi ricostruiti nelle dieci sezioni della mostra ‘Ottocento. L’arte dell’Italia tra Hayez e Segantini’, a cura di Francesco Mazzocca e Francesco Leone, circa duecento opere che i Musei di San Domenico di Forlì ospitate sino al 16 giugno.
Un racconto – promosso dalla Fondazione Cassa dei Risparmi forlivese – affidato soprattutto a opere di grande formato che propongono temi di impatto popolare e dal significato universale, risolti nel cortocircuito visivo di capolavori indimenticabili. Oggetto dell’indagine sono anni esaltanti e tormentati – tra l’ultima fase del Romanticismo e le sperimentazioni artistiche del nuovo secolo, tra l’Unità d’Italia e la Grande Guerra – che hanno visto intellettuali e artisti impegnarsi sul fronte comune della nascita di una nuova coscienza unitaria, di una identità nazionale che rispecchiasse l’avvenuta unificazione politica del paese.
La varietà dei linguaggi con cui sono stati rappresentati consentono di ripercorrere un periodo di grandi trasformazioni della visione, dal tramonto del Romanticismo all’affermazione di Purismo e Realismo, dall’Eclettismo storicista al Simbolismo, dalla ‘rivoluzione’ dei Macchiaioli alle sperimentazioni estreme dei Divisionisti.
Emergono con i loro capolavori protagonisti di quei tormentati decenni: pittori come Hayez, Maccari, Fattori, Signorini, Segantini, Lega, Zandomeneghi, Boldini, Balla, Boccioni e scultori come Vela, Cecioni, Monteverde, Gemito, Bistolfi. Ma è anche l’occasione per far conoscere al grande pubblico tanti altri artisti oggi ingiustamente trascurati o dimenticati. In un percorso coinvolgente, anche per la particolarità e la qualità dell’allestimento, la scena cambia continuamente riservando al visitatore non poche sorprese, nell’incontro inatteso e ravvicinato con un Ottocento mai visto. Dai capolavori dell’ ultimo dei Romantici, Hayez, interprete degli slanci della giovinezza, di una bellezza senza tempo e delle passioni del Medioevo, si passa alla potenza visionaria del teatrale ‘Otello’ di Molmenti, del finalmente visibile ‘Valentino a Capua’ di Previati, un immenso dipinto leggendario come le epiche battaglie risorgimentali evocate dai lombardi Induno e Faruffini e dal meridionale Cammarano, presente con un quadro entrato nell’immaginario degli italiani come la travolgente ‘Breccia di Porta Pia’.
L’epica dei vinti, resa universale dal Signorini dell’Alzaia e dalla dolorosa attualità degli ‘Emigranti’ di Tommasi, appare placarsi nella dolcezza di un quadro mitico e amatissimo come le ‘Due madri’ e nei solenni paesaggi alpini, come quello monumentale di ‘Alla stanga’, che fanno di Segantini, celebrato da D’Annunzio, il genio che nei suoi occhi “umili e degni” è riuscito a rendere l'”infinita bellezza” della natura. Quella natura che rivela il suo mistero nel capolavoro finale, misterioso come certi versi del Pascoli simbolista, ‘Lo specchio della vita’ di Pellizza da Volpedo.