Chi potrebbe gestire la moneta digitale in modo più appropriato? La Banca? Lo Stato? La risposta, ovvia, non potrebbe che essere: la Banca. Risposta ovvia, certo, ma va approfondita in una economia digitale.
La storia della moneta è lunga, abbraccia diverse “ere”. Era una moneta merce: si utilizzava come mezzo di scambio il bestiame, il tabacco, l’oro. È divenuta una moneta cartacea: si utilizza come mezzo di scambio la banconota, priva di valore intrinseco ma che incorpora un numero che le dà valore. È divenuta una moneta bancaria: si utilizza come mezzo di scambio un assegno emesso su un deposito giacente presso una banca.
I depositi presso una banca hanno dei costi, e questo è naturale, dal momento che la banca offre ai clienti dei servizi, e questi vanno pagati. La banca funziona a tutti gli effetti come un’impresa, è organizzata in modo da distribuire i profitti tra i suoi azionisti.
Anche i depositi in euro digitale avranno dei costi? Certamente sì. Si tratterebbe pur sempre di un servizio (quello della gestione di un deposito digitale) erogato da una banca-impresa orientata al profitto.
C’è una domanda che forse in pochi si pongono: a chi appartiene la moneta? Si potrebbe tentare di rispondere a questa domanda cercando la risposta ad un’altra domanda: a cosa serve la moneta?
La moneta serve per ottenere una cosa che noi non abbiamo e che invece qualcun altro ha ed è disposto a cederla in cambio di qualcos’altro: la funzione principale della moneta è servire da mezzo di scambio.
Se non ci fosse la moneta bisognerebbe ricorrere al baratto: offrirsi, per esempio, di riparare la lavatrice del calzolaio in cambio della riparazione delle proprie scarpe. In altre parole si scambierebbe un’ora di lavoro per la riparazione della lavatrice con un’ora di lavoro per la riparazione delle scarpe. Chiaramente questa modalità di scambio, il baratto, non è affatto funzionale per scambiare beni di qualsiasi genere (non siamo tutti idraulici o tutti calzolai). La moneta, dunque, è il mezzo più idoneo per scambiare beni e servizi.
L’esempio fatto mostra che la moneta si sostituisce all’ora per riparare la lavatrice e all’ora per riparare le scarpe. Quell’ora per la riparazione della lavatrice appartiene all’idraulico, e quell’ora per la riparazione delle scarpe appartiene al calzolaio. Dunque, la moneta rappresenta il valore del lavorodell’idraulico e del lavoro del calzolaio e quindi appartiene a loro. La moneta appartiene alla gente. La moneta appartiene al popolo.
Questo legame tra moneta e popolo lo si ritrova nel nome della valuta cinese, il renminbi. In base a quanto viene riportato dalla Treccani, il renminbi “indica sia l’unità monetaria base, lo yuan, sia i suoi sottomultipli, jiao e fen. È la trascrizione in caratteri latini della locuzione «moneta (bi) del popolo (ren min)», iscritta dall’avvento della Repubblica Popolare sulle banconote emesse dalla Banca del popolo di Cina.”
L’era digitale è l’era dell’automazione (le macchine sostituiscono l’uomo – come avviene per esempio con il bancomat in cui l’ATM sostituisce il cassiere) e della disintermediazione (l’uomo si sostituisce all’uomo – come avviene per esempio con l’home banking in cui il cliente si sostituisce al cassiere). La moneta digitale reca in sé l’impronta della disintermediazione: vuol dire che vengono disintermediati non solo i dipendenti della banca (per restare nel nostro esempio) ma anche la banca stessa. In altre parole, lo scambio di moneta digitale tra due persone potrebbe avvenire direttamente, senza la intermediazione di alcun intermediario finanziario, ma solo attraverso le mediazione (cioè attraverso mezzi) delle tecnologie digitali.
Se la moneta appartiene al popolo allora appartiene allo Stato, che però non la possiede, ma garantisce l’infrastruttura digitale per la sua circolazione e sicurezza: una moneta che non ha costi, che non genera interessi, agganciata al lavoro e ai beni reali (case, terreni) – e quindi stabile –, che viene scambiata non per acquistare titoli ma per pagare l’affitto, le bollette, il cibo, le tasse. La lira digitale potrà circolare in parallelo con l’euro digitale (di cui abbiamo parlato in un precedente articolo) senza per nulla alterare gli attuali equilibri tra l’Italia e l’Europa. Il beneficio? Proteggere l’economia reale italiana dalle turbolenze dei mercati finanziari e dalle pericolose fluttuazioni dello spread.
Claudio Maria Perfetto