Roberto Mancini è riuscito nell'impresa epica di convincere tutti, anche i più scettici: in tre anni ha dato dimostrazione che a prescindere dagli interpreti ciò che più conta in questo sport è l'idea di gioco e l'atteggiamento dei giocatori dentro e fuori dal campo.
Mancano poche ore alla tanto attesa finale di Euro 2020 tra Italia e Inghilterra, che si disputerà questa sera alle 21 in uno templi sacri del calcio: il mitico stadio Wembley di Londra. La stessa capitale inglese, oltre all’ultimo capitolo della competizione continentale, avrà l’onore di ospitare la finale di un’altra prestigiosa competizione sportiva: la finale del torneo di Wimbledon tra l’azzurro Matteo Berrettini e il numero uno indiscusso del tennis mondiale Novac Djokovic. Ma a prescindere da quelli che saranno i risultati sportivi, sia nel calcio che nel tennis, l’Italia ha già vinto.
Partendo dal discorso che riguarda il calcio la Nazionale ha già vinto perché grazie al percorso intrapreso da Roberto Mancini e da tutto il suo staff che è riuscito attraverso il duro lavoro a mettere d’accordo tutti i tifosi azzurri e a unire sotto la stessa bandiera un Paese intero. Una circostanza che è avvenuta in un momento molto delicato della storia: a un anno e mezzo dalla pandemia che ha messo sottosopra il mondo e ha rivoluzionato il nostro modo di vivere.
Non è un mistero affermare che il problema che ci affligge dall’alba dei tempi è che noi italiani non siamo quasi mai contenti dei risultati sportivi ottenuti dalla squadra del nostro cuore o dalla Nazionale e che ci sentiamo tutti allenatori o commissari tecnici della situazione. Non è insolito sentire discutere un gruppo di parenti, amici, colleghi o semplici conoscenti e sentirli dibattere sulle convocazioni, sullo schieramento in campo della squadra e che a differenza del mister sarebbe stato il caso di adottare un determinato modulo di gioco o tattica. Allenatore che guarda caso finisce sempre per essere additato come l’incompetente di turno.
Ma il “Mancio” è riuscito nell’impresa epica di convincere tutti, anche i più scettici, perché nel suo percorso iniziato nel 2018 dopo la clamorosa eliminazione dal mondiale russo ha dato dimostrazione che a prescindere dagli interpreti ciò che più conta in questo sport è l’idea di gioco e l’atteggiamento dei giocatori dentro e fuori dal campo. Non ci sono fenomeni e nemmeno prime donne nella sua Nazionale, ma un gruppo coeso, che sa quali sono i concetti base che questa squadra deve esprimere: possesso palla, costruire dal basso, sfruttare il gioco sulle fasce e pressing alto, ma soprattutto si deve divertire.
Quest’ultimo concetto si potrebbe sintetizzare con il mantra mancinano: sapersi divertire in campo per far divertire i tifosi. Finalmente si mette da parte il tatticismo estremo all’insegna del catenaccio e della ripartenza veloce, tattiche che possono essere anche messe in pratica in alcuni frangenti della partita ma che non possono essere considerate come fondamenta solide sulle quali costruire il presente e il futuro dell’Italia.
Oggi non c’è più nessuno contesta le scelte del ct e non importa se vinceremo o meno la finale di Wembley, l’importante è aver dimostrato al mondo che possiamo giocarcela con tutti, che sappiamo esprimere un bel gioco, che i calciatori azzurri hanno grandi qualità tecniche ma nello stesso tempo umane. Sono capaci di lottare uniti anche nei momenti di difficoltà, come accaduto in semifinale contro la Spagna, nonostante gli avversari per lunghi tratti abbiano giocato meglio di saper lottare fino al 120° minuto e poi aver gestito la “lotteria” dei calci di rigore come dei veterani. Il non plus ultra è stato il tiro dagli 11 metri con saltello di Jorginho, le cui immagini rimarranno per sempre nella storia.
L’Italia di Roberto Mancini ha già vinto anche se non ha conquistato ancora nessuna coppa o trofeo, perché le vittorie più belle non sono esclusivamente quelle dei palmares e delle bacheche piene, ma quelle di un gruppo unito che ci ha entusiasmato non solo in questo europeo ma per ben tre anni e che ci sta permettendo di vivere un sogno: quello di conquistare il secondo titolo continentale, dopo quello del 1968, della nostra storia.
La vittoria di questo gruppo sta nella resilienza, nello spirito di Spinazzola che nonostante il grave infortunio al tendine di Achille è voluto a tutti i costi stare accanto ai compagni in questa finale. Gli stessi compagni che lo hanno sostenuto subito dopo la sfortunata fatalità e che gli hanno dedicato la vittoria in semifinale. Sta nell’abbraccio tra Sirigu e Donnarumma poco prima dei rigori contro la Spagna: il portiere granata ha bisbigliato qualcosa nell’orecchio del collega più giovane e gli ha fatto il segno di usare la testa, come a significare che nei rigori non contano solo intuito e capacità tecniche ma soprattutto il saper entrare nella testa degli avversari destabilizzandoli psicologicamente. Sta nel canto a squarciagola dell’inno nazionale poco prima degli incontri e nelle “Notti magiche” intonate a fine match in pullman. Sta nella scaramanzia di Vialli, sempre l’ultimo ad entrare nel bus azzurro, e nell’abbraccio tra i “gemelli del gol” ai tempi della Samp scudettata: quello tra Roby (Mancini) e Gianluca (Vialli).
Comunque vada sarà un successo. Così come sarà un successo la finale di Matteo Berrettini a Wimbledon, la prima in assoluto per un italiano nel più antico evento del tennis. Il tennista romano ha già virtualmente raggiunto l’ottava posizione nella classifica ATP (il suo migliore risultato di sempre), scavalcando sua maestà Roger Federer, e un’eventuale vittoria potrebbe permettergli di scalare un’altra posizione e permettergli di superare di soli 33 punti il russo Andrey Rublev. Matteo è pronto a sfidare uno tra i più forti tennisti di tutti i tempi, impresa ai limiti dell’impossibile visto che il serbo è imbattuto in uno Slam su erba dal 2018 e se dovesse vincere questo torneo conquisterebbe il 20esimo Slam in carriera, raggiungendo Federer e Nadal, entrambi a quota venti, nella classifica dei tennisti che hanno vinto il maggiore numero di Major in carriera.
Oggi è l’11 luglio 2021, lo stesso giorno di 39 anni fa l’Italia di Bearzot conquistava il terzo titolo iridato della sua storia nel mondiale di Spagna. Come dimenticare le immagini indelebili dell’esultanza del presidente Pertini e la mitica partita a scopone sull’aereo di ritorno verso casa dopo la vittoria, l’urlo di Tardelli, i sei gol del capocannoniere del torneo Paolo Rossi (tripletta contro il Brasile, doppietta contro la Polonia e primo gol nella finale contro la Germania) e la coppa del mondo sollevata dal capitano Dino Zoff. Questa fortunosa concomitanza di date potrebbe essere di buon auspicio sia per il calcio che per il tennis, ma non è il caso di fare pronostici perché lo sport è imprevedibile.
Se “il cielo era azzurro sopra Berlino” dopo la finale mondiale vinta ai rigori contro la Francia nel 2006 oggi l’unica cosa certa a prescindere dal risultato è che per un giorno i prati di Wembledon, crasi tra Wimbledon e Webley, si coloreranno di azzurro. Forza azzurri del tennis e del calcio!