CATANIA. Il mondo del calcio e dello sport tutto è in lutto. Ci ha lasciati all’età di 71 anni Pietro Anastasi, uno dei migliori attaccanti degli Anni 60 e 70. Combatteva con la malattia già dalla fine del 2018.
Catanese di nascita, si era messo in evidenza con la maglia del Varese, prima di legarsi alla Juventus: con il club bianconero ha vinto 3 scudetti in 8 stagioni (dal 1968 al 1976), prima di passare all’Inter nell’ambito del famoso scambio con Boninsegna nell’estate del 1976, operazione di mercato che all’epoca aveva fatto parecchio discutere.
“Campione indimenticabile”. Così lo ricorda la Juventus, dedicandogli belle parole in un ritratto sul proprio sito: “Era impossibile non volere bene a ‘Pietruzzu’, come lo chiamavano tutti i tifosi a rimarcarne la sua origine siciliana, perché è stato uno juventino fino in fondo e alla squadra del suo cuore ha trasmesso tutta la sua passione. Quella che da bambino, raccattapalle al Cibali di Catania, lo vede chiedere una foto accanto al suo idolo John Charles“.
E, ancora: “Alla Juventus Pietro regala anni straordinari fino al 1976 per un totale di 303 presenze e 130 gol. Ma le cifre e l’attaccamento alla maglia spiegano solo in parte l’amore della gente nei suoi confronti. Il suo coraggio nelle giocate, le sue reti in acrobazia, il suo spirito da lottatore lo rendono un idolo… Un amore che lo stadio Comunale tradusse con lo striscione con la scritta: ‘Anastasi Pelè bianco’. La vita di Pietro è stata un vero romanzo bianconero, negli anni 70′ Hurrà Juventus gli dedicò una narrazione a puntate per diversi numeri”.
Finita la parabola juventina, “Pietruzzu” era passato all’Inter, con cui si era aggiudicato la Coppa Italia del ’78. Quindi gli ultimi scampoli di carriera all’Ascoli (dal ’79 all’81) e in Svizzera al Lugano dove aveva chiuso con il calcio giocato nel 1982. In Nazionale ha vinto l’unico titolo europeo degli azzurri, quello di Roma ’68 nella doppia finale contro la Jugoslavia: suo il gol del 2-0 che chiuse i conti dopo il vantaggio di Riva. Con l’Italia 25 presenze e 8 gol. Uno scherzo in ritiro diventato incidente lo escluse, d’improvviso e proprio in extremis, dalla spedizione messicana del ‘70.
E’ stato attaccante di razza, e come scrive il giornalista Roberto Beccantini su Fb, “dallo scatto rapace, il tiro lampo e non tuono, gli stop a «inseguire» che, senza scalfirne la fame e la fama sotto porta, si trasformarono in una sorta di allegro marchio: di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno… Non aveva le pupille schillaciane, Pietro, ma lo ricordava Era un centravanti d’area, piroettava in un fazzoletto, la sua polvere da sparo era l’istinto. Lascia il vuoto dei compagni di viaggio che ci hanno regalato un sospiro, un sorriso, un’avventura”.