A ben guardare la figura di don Ercole Scolari richiama subito un’espressione tanto cara a papa Francesco, quella della “Chiesa in uscita”, in parole concrete “la Chiesa missionaria”. È proprio così: l’impegno di questo prete è per molti aspetti profetico e per questo motivo merita un ricordo particolare, sottolineando anche che la sua azione ha prodotto benefici effetti sia nell’ambito della pastorale giovanile a livello diocesano, sia nell’ambito di una comunità parrocchiale, quella di Varallo Sesia.
Parlare di don Ercole significa parlare prima di tutto di educazione della gioventù nel vero senso della parola. Il sacerdote inizia e sviluppa la sua missione sacerdotale impegnandosi ad offrire il suo contributo per l’educazione della gioventù.
Sono i suoi gli anni che precedono la protesta giovanile, sono gli anni che anticipano con vari segnali la “contestazione studentesca”, cioè quella rivolta che porterà i giovani ad acquisire ruoli molto importanti e farli sentire protagonisti anche del loro presente. Don Scolari avverte quanto sta nell’aria e di conseguenza opera non per bloccare l’evolversi della situazione ma per preparare i giovani a questo loro nuovo mondo.
L’esame della sua attività, che si svolge non sempre senza incomprensioni (non si dimentichi che nei suoi primi anni di ministero sacerdotale a Novara c’è come vescovo Gilla Vincenzo Gremigni, presule attento alla cultura, ma con idee conservatrici per quanto riguarda le prospettive sociali) mette in evidenza un concetto sotto certi aspetti profetico: questo educatore è convinto che ai giovani bisogna lasciare lo spazio per gestire il loro presente, perché questo spazio è loro e solo loro.
Traccia di tutto questo si riscontra nel modo di gestire, essendo insegnante di religione al liceo classico Carlo Alberto di Novara, le sue ore di lezione, che non sono mai lunghi e interminabili monologhi, come spesso accade, ma sono momenti in cui gli allievi devono portare il loro contributo di idee e devono impegnarsi nella ricerca e nell’approfondimento di argomenti di attualità, proposti dagli allievi stessi.
Non solo. A Novara nei locali di via Dominioni, dove ha la sua sede operativa, fa progettare e pubblicare un giornale, scritto dagli studenti. “Tempi nostri” – questo il titolo della pubblicazione – rappresenta un’ occasione per dare uno sfogo molto utile agli studenti, che avvertono l’esigenza di far sentire la loro voce. C’è di più. Don Ercole ritiene di contribuire alla crescita dei “suoi” giovani garantendo proposte culturali serie.
Vede, per citare una sua iniziativa, nel cinema impegnato lo strumento per operare in questa direzione, perché può far riflettere su questioni esistenziali. Mentre il Concilio Vaticano II quindi sta discutendo e sta per approvare il decreto “Inter mirifica” sulle comunicazioni sociali, da diverso tempo in città, presso il cinema dei Salesiani, in via don Bosco, al sabato pomeriggio, condotto da uno dei suoi giovani, Gigi Santoro, si tiene il cineforum, con la proiezione di film che portano la firma di grandi registi
Ne cito due per garantire la qualità: Bergman e Visconti. L’iniziativa non solo ha un risultato molto positivo da un punto di vista della partecipazione, ma anche da un punto di vista del dibattito che mette in evidenza il piacere dei partecipanti di approfondire gli argomenti. Ne deriva pertanto una apprezzabile preparazione ad affrontare le tematiche esistenziali e sociali sottintese ai film proiettati.
Don Ercole però, che tra l’altro è in contatto con altri sacerdoti italiani e stranieri impegnati nella promozione del mondo giovanile – tra questi don Luigi Giussani, animatore a Milano di Gioventù Studentesca – ha una sua visione della strada da seguire.
È profondamente convinto che i giovani non solo avvertono l’esigenza di una valida preparazione culturale che permetta loro una puntuale conoscenza dei principi che animano la società contemporanea, ma sentono anche il bisogno di azioni concrete, idonee ad offrire la certezza di possedere doti valide. In altre parole è convinto che il giovane voglia essere un realizzatore.
Proprio in conseguenza di questa sua convinzione, propone modelli e progetti. Per i primi, i modelli di vita, fa venire a Novara personaggi in grado di suscitare entusiasmo. Memorabile l’incontro al teatro Coccia con Raoul Follerau, che parla del suo impegno per i lebbrosi in Africa. Per i secondi, cioè i progetti, pensa alla realizzazione di una struttura polivalente in Bangladesh, il Novara Center, che prevede la creazione di un complesso di edifici in grado di offrire l’occasione per aiutare una regione povera ad uscire dalla povertà.
L’idea è la conseguenza di una sua concezione sociologica, che si lega ad una dottrina portata avanti da brillanti economisti cattolici – e tra questi mi piace ricordare Francesco Vito – i quali sostengono che non è sufficiente mandare aiuti alle popolazioni del Terzo Mondo ma si devono creare in loco le occasioni per togliere questi popoli dalla condizione di miseria.
Inutile dire che questa visione troverà un convinto sostenitore in San Paolo VI, che nella sua “Populorum Progressio” scriverà che il “nuovo nome della Pace è lo Sviluppo”. Qualche anno prima dell’enciclica papale, don Scolari avvia un progetto, che coinvolge operativamente i giovani.
È il progetto Novara Center, che prevede la realizzazione a Dinajpur di una struttura per i giovani che si articolerà molto presto in vari settori operativi e vedrà nel 1965 la costruzione anche di un centro di formazione professionale in grado di garantire agli studenti di questo territorio, oltre che una scuola accademica, anche un’ ulteriore scuola tecnica, per offrire istruzione a ragazzi, destinati con molta probabilità a restare nella povertà o peggio ancora, destinati a finire assorbiti in meccanismi di sfruttamento.
Ai giovani della diocesi di Novara il progetto del “don” piace e subito rispondono alla sua chiamata e si sentono impegnati a lavorare in concreto per la realizzazione di un ideale. Ricordo questi anni e ho ben presente l’entusiasmo dei giovani. Sono giorni di raccolta fondi, sono giorni in cui si creano iniziative di carattere sociale per contribuire alla realizzazione del progetto.
Nasce una competizione molto positiva tra i gruppi per raggiungere obiettivi sempre più alti. Dietro a tutto questo lavoro c’è don Scolari, che sceglie sempre un profilo modesto, per lasciare ai giovani il primo piano. È in questi anni impostata un’iniziativa che durerà nel tempo ponendosi obiettivi sempre più ambiziosi.
Mentre tutte le iniziative collegate al Novara Center trovano la loro impostazione solida, perché don Scolari non solo progetta, ma pensa anche a fare in modo che la creatura abbia la forza di continuare dopo di lui, arriva la sua nomina nel 1966 a prevosto di Varallo Sesia.
Così, – e riprendo ora un’espressione arguta, dell’arciprete di Trecate, don Mario Rossi, che lo incontra appena dopo la nomina – , don Scolari, dopo anni di impegno nel settore giovanile, si sposa e va incontro alla sua sposa, la parrocchia del capoluogo della Valsesia. Qui resterà fino al 1996, quando sarà costretto a lasciare per una grave malattia la guida illuminata di Varallo.
Sarà canonico del Duomo a Novara dove lo coglie la morte il 30 dicembre 1998. Sono questi di Varallo e della Valsesia gli anni in cui don Ercole esprime il meglio della sua maturità sacerdotale.
Ha un forte e spiccato desiderio di lavorare per la costruzione di una autentica comunità cristiana, che rispetto alla sua esperienza precedente, presenta una più articolata composizione, con sensibilità ed esigenze diverse. Parte con un principio: il dialogo con tutti per cogliere esigenze ed aspettative.
Dietro a questa impostazione c’è un’intenzione nobile ed importante: cogliere tutte le esigenze per collegarle tra loro e trasformarle in un progetto di comunità. Un esame del lavoro portato avanti da don Ercolee mette in evidenza il punto appena citato. Non c’è settore dal culturale al sociale, dall’assistenziale al caritativo che sia stato tralasciato da don Scolari in quanto prevosto. Diventa difficile richiamare in questa sintesi tutti i progetti realizzati.
Mi preme però in questa sede una sottolineatura: don Scolari non dimentica il lavoro fatto con i giovani per il Bangladesh e quindi riesce a coinvolgere i suoi parrocchiani e li fa diventare protagonisti e, se vogliamo usare un termine cristiano, missionari. Di conseguenza anche oggi, nel ricordo di questo prevosto che ha retto dal1966 al 1998 la parrocchia, li troviamo impegnati con convinzione e con zelo.
Prof. Franco Peretti
Cultore di storia della Chiesa