Scoperto il gene architetto del volto umano, che cambia quindi le prospettive dell’evoluzione. La ricerca, pubblicata sulla rivista Science Advances, è nata dalla collaborazione fra Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) e Università Statale di Milano, insieme con la partecipazione delle Università di Barcellona, Cantabria, Colonia e Heildelberg, e l’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. La prova sperimentale è arrivata studiando le cellule staminali di due malattie genetiche, entrambi varianti della sindrome di Williams-Beuren, nelle quali sia il viso sia le caratteristiche cognitive e comportamentali presentano aspetti tipici del processo di addomesticazione, come la faccia più piccola e ridotte reazioni aggressive.
“Noi presentiamo infatti caratteristiche del volto e del comportamento che ricordano quelle che distinguono appunto le specie addomesticate da quelle selvagge. Il risultato è destinato ad avere un forte impatto sulla nostra concezione dell’uomo e della sua evoluzione, non solo perché fornisce la dimostrazione empirica a un’idea così fondativa della nostra condizione moderna, ma anche perché definisce un vero e proprio nuovo campo di studio, in cui specifiche malattie genetiche, grazie alla possibilità di comprenderle in vitro attraverso degli avatar cellulari dei pazienti, illuminano la storia che ci ha condotto fin qui e che tutti ci accomuna”, ha spiegato il coordinatore della ricerca Giuseppe Testa, direttore del Laboratorio di Epigenetica delle Cellule Staminali dello Ieo, docente di Biologia molecolare all’Università di Milano, e direttore del centro di Neurogenomica dello Human Technopole.
Il gene architetto si chiama BAZ1B, e ha il ruolo di regolare l’attività di numerosi geni, responsabili delle fattezze del volto o di atteggiamenti di socialità. Visionando le analisi paleogenetiche degli uomini arcaici, queste hanno fatto per la prima volta “parlare il Dna dei nostri antenati arcaici, dando senso alle varianti genetiche che li distinguono da noi e che erano restate silenti, cioè funzionalmente indefinite, fino a che, appunto, non siamo riusciti ad associarle al controllo esercitato da questo gene così speciale”, ha detto Testa.