ROMA. Era un martedì il 7 agosto 1990. Da allora quella data sarà ricordata per il delitto di via Poma, in cui perse la vita, assassinata in un appartamento al terzo piano, a Roma, Simonetta Cesaroni. La donna aveva 21 anni all’epoca dei fatti, e lavorava come segretaria presso la Reli Sas, uno studio commerciale. Tra i clienti dello studio c’era l’Aiag, dove la donna prestò per alcuni giorni lavoro come contabile, proprio in via Poma 2, ma nemmeno i familiari sapevano, data la riservatezza della giovane, l’indirizzo degli uffici dell’Aiag, e, soprattutto, le telefonate anonime che riceveva sul posto di lavoro.
Il delitto di via Poma non ha mai avuto un colpevole. Quel giorno i familiari, non vedendola rientrare a casa, andarono a cercare Simonetta Cesaroni intorno alle ore 21.30, e, contrattato il datore di lavoro Salvatore Volponi, giunsero in via Poma, facendosi aprire dal portiere, due ore dopo, trovando il cadavere di Cesaroni: era stata uccisa con 29 coltellate. In più di 20 anni d’indagini, e con diverse persone accusate, tra cui Pietrino Vanacore, portiere dello stabile dove avvenne l’omicidio, poi Salvatore Volponi, quindi Federico Valle, il cui padre aveva uno studio nello stabile, e Raniero Busco, fidanzato della vittima, a oggi non è stato trovato l’assassino. I risultati dell’autopsia sulla donna rilevarono diverse ferite da taglio: sei sul volto, una al collo, otto nel torace, e quattordici nella zona pubico-genitale che ne causarono la morte.
Simona Cocola