In un periodo come l’attuale, periodo nel quale spesso viene richiamata la necessità di applicare la Costituzione italiana nelle varie attività, mi sembra interessante fare qualche riflessione su due espressioni, che vengono spesso richiamate non sempre con la dovuta comprensione del loro significato: “diritto allo studio” e “diritto all’apprendimento”. Non solo: spesso con troppa fretta e superficialità vengono considerate formule dall’identico significato, ma uguale significato non hanno.
Queste parole indicano un principio, quindi una prerogativa, un potere di cui tutti coloro che sono sul suolo italiano sono titolari. Si tratta del resto di un diritto inserito nella nostra Costituzione e quindi di un diritto inalienabile. Nel titolo I della prima parte della Carta Fondamentale “Rapporti etico-sociali” all’art. 34 si legge:
“La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore impartita per almeno otto anni è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre previdenze, che devono essere attribuite per concorso”
È un articolo molto importante da un punto di vista sociale, perché non solo sancisce un diritto, quello allo studio, ma impone un onere a carico della Repubblica, quello di rendere effettivo questo diritto, mettendo a disposizione per chi ha i meriti e non le risorse economiche le necessarie provvidenze per l’attuazione concreta del diritto stesso.
In altre parole i padri costituenti hanno sancito a carico della Repubblica il compito di rendere concrete le enunciazioni giuridiche, superando in questo modo la vecchia scuola liberale, che riconosceva una serie di prerogative per l’individuo, ma non prevedeva l’assegnazione di contributi appositi per coloro che, pur essendo meritevoli, erano privi dei mezzi finanziari per l’esercizio concreto di un diritto riconosciuto, quello allo studio.
Per precisare ulteriormente questa considerazione si può dire che oggi il diritto allo studio non è solo sancito in termini formali come una prerogativa costituzionale, ma è anche prevista una serie di provvidenze economiche che sono a disposizione della popolazione scolastica per l’esercizio di questo diritto.
Se il diritto allo studio è ben definito all’interno del dettato costituzionale, è opportuno invece cercare di definire meglio il diritto all’apprendimento che indica una serie di prerogative legate alla capacità di imparare della singola persona. E su questo punto va fatta una precisazione per cogliere fino in fondo il contenuto che si lega al diritto di apprendimento.
Se il diritto allo studio è una prerogativa di carattere generale, da collegarsi ad un ipotetico individuo, cioè una prerogativa che non riguarda i singoli, ma l’essere umano come categoria, il diritto all’apprendimento rappresenta un potere da riferire non ad un soggetto astratto, ma un soggetto concreto, con tutte le sue peculiarità. Il diritto all’apprendimento di conseguenza va tarato, nella fase in cui viene esercitato, tenendo conto della personalità di chi lo esercita.
Appare subito molto evidente un aspetto: se il diritto allo studio comporta la presenza di istituzioni in grado di “far studiare” gli individui, il diritto all’apprendimento impone una complessa serie di metodologie in grado di garantire la trasmissione del sapere non in termini generali ma in termini idonei ed efficaci per il destinatario concreto del sapere stesso.
Le istituzioni che gestiscono il diritto allo studio sono necessariamente chiamate a gestire questa attività, tenendo sempre conto della personalità del titolare del diritto. Anche se tutto questo può sembrare assai facile, semplice e scontato per quanto riguarda la sua realizzazione, si deve rilevare che la realtà, che si ha davanti dice che così non è.
Meriterebbe in questa sede su questo argomento un lungo richiamo al libro La lettera ad una professoressa” di don Milani, che ci permetterebbe di capire in modo più approfondito la sostanziale differenza tra il diritto allo studio ed il diritto all’apprendimento, ma lo spazio tiranno lo impedisce.
Diciamo semplicemente, cogliendo l’insegnamento di Don Milani, che il docente ha il dovere di contribuire all’esercizio del diritto di apprendimento non della classe, ma di ciascun allievo, perché il diritto all’apprendimento richiede, per la sua completa attuazione che l’ allievo possa usare, al fine di rendere attuale la sua prerogativa, quei talenti di cui dispone. In parole semplici, il docente non deve neppure permettersi di operare tagli o ridurre programmi, adducendo la giustificazione che si adegua alle possibilità intellettuali dell’allievo. Al docente tocca il compito dunque di costruire un completo percorso mirato, partendo dalla peculiarità personale dell’allievo.
A questo proposito va anche presa in considerazione e valutata con la dovuta cautela una prassi, che pur trovando il suo fondamento nella legge 107/2010, ha suscitato molte perplessità e qualche vivace contestazione. Di questo parleremo in modo diffuso in un prossimo articolo.
Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative