MARZABOTTO. Sono passati 75 da quell’autunno del 1944 in cui Marzabotto e altri comuni dell’Appennino bolognese vissero uno dei momenti più truci della storia. E non solo contemporanea. La strage di Marzabotto (o più correttamente eccidio del monte Sole), che si protrasse dal 29 settembre al 5 ottobre 1944, è senz’ombra di dubbio uno dei più gravi crimini di guerra compiuti contro la popolazione civile da parte dei nazifascisti. Le vittime, confrontando i dati dell’anagrafe, furono 1.830. Sulla lapide che ricorda quell’eccidio poche e indelebili parole: “La nostra pietà per loro significhi che tutti gli uomini e le donne sappiano vigilare perché mai più il nazifascismo risorga”.
Tra l’estate e l’autunno del 1944 la ritirata delle truppe tedesche, ormai sconfitte, lasciò dietro di sé una gigantesca scia di sangue. Fra il 29 settembre e il 5 ottobre la marcia della morte guidata dal maresciallo Kesselring per fare ‘terra bruciata’ attraversò le colline e le montagne attorno a Marzabotto, lasciando dietro di sé circa 800 morti.
Come hanno riconosciuto numerosi atti processuali, si trattò di una strage premeditata, decisa a tavolino, eseguita con fredda metodicità, che non risparmiò donne, invalidi, bambini: nessuna rappresaglia, nessuna vendetta. Solo l’intenzione di distruggere e uccidere. L’obiettivo delle Ss era quello di stroncare le formazioni partigiane che combattevano per la liberazione, con la logica dell’equiparazione dei civili alle formazioni in armi. Considerando, quindi, anche donne, bambini e anziani, come dei nemici da sterminare.
Nella zona circostante Monte Sole agiva con successo la brigata Stella Rossa che dalla posizione elevata ed impervia portava attacchi a strade e ferrovie che rifornivano il fronte. Già nel maggio del 1944 l’esercito tedesco aveva tentato un assalto ma era stato respinto come nei casi successivi durante l’estate. Così il feldmaresciallo Albert Kesselring decise di dare un duro colpo a questa organizzazione sterminando indiscriminatamente i civili e radendo al suolo i paesi circostanti. Già in precedenza Marzabotto aveva subito rappresaglie, ma mai così gravi come quella dell’autunno 1944.
La gente, impaurita, si riunì nella piccola chiesa di Casaglia e cominciò a recitare il rosario. Era il 29 settembre, esattamente 75 anni fa. I nazifascisti entrarono in chiesa, freddarono con una raffica don Ubaldo Marchioni e raccolsero sul sagrato tutti gli altri che uccisero, poi, con fredda metodicità: 195 vittime, le prime di una settimana di sangue, costellata da decine e decine di altri eccidi in villaggi e cascinali. Con una ferocia inconsueta: il corpo, decapitato, di un altro prete, don Giovanni Fornasini, fu ritrovato solo nell’inverno successivo, sotto la neve. Marzabotto, Grizzana, Vado di Monzuno, Castellano.
Fra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, dopo sei giorni di violenze, il numero delle vittime civili era spaventoso: circa 770 morti. Le voci che immediatamente cominciarono a circolare relative all’eccidio furono negate dalle autorità fasciste della zona; solo dopo la Liberazione lentamente cominciò a delinearsi l’entità del massacro. Oggi Marzabotto e Monte Sole sono diventate un luogo di memoria. Da anni è attiva la scuola di Pace, che organizza iniziative e incontri, ogni 25 aprile migliaia di persone, soprattutto giovani, vi si radunano per un pellegrinaggio sui luoghi dove è nata la Costituzione e molte delle più alte cariche istituzionali tedesche vi sono venute in visita, per ricordarsi il motivo principale per il quale è nato il sogno europeo.
Sono occorsi numerosi decenni perché i familiari potessero avere giustizia: il silenzio venne infranto soltanto nel 1994 quando si spalancarono le ante dell’armadio della vergogna di palazzo Celsi e tornarono alla luce quasi 700 fascicoli sui crimini compiuti da nazisti e fascisti, rimangono un peso che questa piccola comunità d’Appennino ha dovuto sopportare per tanto tempo. Come le scariche di mitra, che i pochi sopravvissuti hanno sentito risuonare nelle loro teste e nei loro incubi per tutta la vita. E che sembrano quasi tornare a minacciare, 75 anni dopo, i sentieri in mezzo ai castagni di Marzabotto, ogni volta che l’odio e l’intolleranza sembrano provare a prendere il sopravvento sul dialogo e la pace.