Oggi vi proponiamo uno scritto molto interessante della Dott.ssa Fiorella Mandaglio, Commissario Aggiunto dea Polizia Locale di Erba, Esperto di informatica Giuridica e Crimini informatici. Ci siamo interfacciate con la dott.ssa telefonicamente ed abbiamo disquisito su differenti temi dal caso Grillo, al revenge porn, al cyberbullismo.
Cosa porta sempre più spesso a usare i social per ‘distruggere’ la reputazione di qualcuno? Cosa si cela dietro questa pratica che pare voler costruire a tutti i costi un nemico da annientare seppur con il solo uso di una tastiera caricando, ad esempio, un video o immagini diffamatorie?
L’analisi lucida e precisa della Mandaglio che ci offre anche una sorta di excursus storico ove emerge che la costruzione del nemico vige da sempre, ma oggi sono cambiate le modalità di divulgazione, la piazza virtuale quale peso ha?
“Prendendo ispirazione dal semiologo Umberto Eco, proviamo a riflettere ed analizzare la “Costruzione del Nemico” al tempo dei Social Media.
L’analisi – proposta da Umberto Eco nel breve saggio “La Costruzione del Nemico” – evidenzia mirabilmente come la letteratura, ed in particolar modo la preziosa divulgazione degli scritti per mezzo della stampa, fosse indispensabile per costruire – in seno ad una società – una efficace “immagine del nemico”.
In passato i letterati furono la fonte primaria (spesso anche l’unica) della divulgazione delle idee che costruivano le fondamenta dei risultati politici da raggiungere. Tali risultati potevano consistere – di volta in volta – nell’espansione del territorio, nell’affermazione di un credo oppure nell’esaltazione di una razza ed in altri aspetti concernenti, quasi sempre, nell’affermazione della superiorità e del potere di qualcuno su qualcun’altro.
Queste idee arricchivano – nell’immaginario popolare – la costruzione fisica e morale del nemico attraverso l’uso di colorite metafore cacofoniche arricchite da meticolose e nauseabonde descrizioni della bruttezza di colui che era destinato a diventare – in quel momento storico – il “male” da combattere.
Da Tacito a Orwell fino a Louis-Ferdinand Céline e – per alcuni aspetti – anche in questo periodo attraverso i mass media, le società si nutrono e si identificano nella “guerra al nemico” sia esso visibile oppure invisibile, reale oppure irreale.
La fisionomia del nemico si plasma a seconda dell’ideologia che si vuole diffondere nell’immaginario comune di quella determinata società assumendo – nel succedersi dei periodi storici – sempre più l’aspetto di ciò che era considerato “diverso” o “non conforme” alla società che, della lotta a quel nemico, si doveva nutrire.
Il nostro periodo storico è caratterizzato da una nebulosa globalizzazione e dalla carica di leggi che ripudiano la discriminazione e tutelano i diritti umani universali.
Nell’era tecnologica dei social media, quale può essere una ricetta efficace per costruisce il “nemico” ideale del popolo della rete?
Qualche intellettuale accusa internet – ed in particolar modo i social media – di aver “cambiato” la società a tal punto da riuscire a sedurre – con fascino demoniaco – l’essere umano che non riesce a sottrarsi dal vortice della disarmonia e dell’odio, nonostante la sua (supposta) innata purezza. A sua volta, l’essere umano diffonderebbe l’odio – in modo incontrollabile – nel cyberspazio.
Il villaggio virtuale ed i social media nascono realmente con questi intenti oppure è la società stessa che ha iniziato ad utilizzare la rete portandovi all’interno la rappresentazione digitale di tutto ciò che accade nella vita reale, amplificando solo la parte cattiva del Visconte Medardo di Terralba?
Quando si parla di digitale, non si può prescindere dall’osservare che il “nemico on-line” si crea artificialmente. Ovvero nasce dalla pressione dei tasti sulla tastiera e da qualche “click” eseguito con la precisa volontà di ledere, per futili motivi, a causa di stati emozionali violenti oppure per semplice immaturità adolescenziale che sembra manifestarsi, soprattutto, negli adulti digitali.
Come contrastare l’impulso della costruzione del nemico se la “Sindrome di Ipercompetitività” – definita da Karen Horney – è facilmente riscontrabile nella maggior parte dei videogiochi e delle attività ludiche presenti in rete?
Questo ambiente virtuale, dedicato all’individuazione di un nemico che assume varie forme ed allo studio delle possibili strategie d’azione per annientarlo, ci porterebbero – per analogia – a concepire tutte le declinazioni del cyberspazio come luoghi senza legge, dove tutto è possibile senza il rischio di incorrere in sanzioni, neppure quando vengono compiute azioni che rappresentano veri e propri reati.
Nel villaggio virtuale la costruzione del nemico inizia a prendere forma attraverso un avatar che non esprime emozioni e che – nonostante il “game-over” – rinasce, più forte di prima, nelle menti degli uomini.
Questi avatar utilizzano strategie di costruzione del nemico virtuale che si appoggiano a diversi aspetti del genio oppure della follia umana: da un lato troviamo l’articolato frutto dell’ingegneria sociale che costruisce nemici a livello globale attaccando stili di vita, culturali, ideologie politiche ed economiche con il solo scopo di generare divergenze su tematiche – a cui è particolarmente sensibile l’opinione pubblica – al fine di affermare la “propria fazione” oppure per vincere competizioni economiche e politiche su scala planetaria.
Il più semplice e naturale “elemento soggettivo” tipico delle azioni delittuose con cui – attraverso le “Fake News” e le “Face Swapping” (tecnica di video manipolazione con cui si crea un falso credibile come l’originale) – l’individuo digitale costruisce sui social l’immagine del nemico da distruggere per mezzo della metamorfosi kafkiana dello stesso in un essere mediaticamente mostruoso, degno di scherno e ribrezzo pubblico attraverso l’offesa, la diffamazione, l’ingiuria è proprio quello di arrivare ad annientare l’avversario anche nella vita reale.
Qui azzardiamo anche una riflessione sugli effetti che le strategie di creazione del nemico producono sull’attaccante: la soddisfazione prodotta dalla vittoria realizzata con il processo di distruzione psicofisica digitale e biologica dell’altro stimola quel processo neurologico di benessere tipico della dipendenza che sprona l’individuo a perseverare diabolicamente negli attacchi anonimi.
La costruzione digitale del nemico, però, si differenzia da quella letteraria che risulta essere molto più prolissa proprio a causa dell’uso esteso ed articolato delle parole. Nei social media il linguaggio si forma attraverso simboli ed immagini che hanno acquisito nella società digitale il potere di comunicare il brutto ed il bello, il buono ed il cattivo. Al “nemico” si postano “dislike”, simboli che esprimono disgusto o immagini denigratorie che raggiungono l’effetto sperato con maggiore velocità ed efficacia rispetto ad un testo che spesso, per pigrizia, si legge solo a metà.
Pensiamo al cyber bullismo: all’origine dei post che produrranno l’effetto devastante desiderato c’è – da parte del cyber bullo – l’individuazione del soggetto da colpire e la immediata – a volte inconscia – costruzione della nuova immagine della vittima che deve essere percepita ed accettata dal gruppo che lo affianca come “diversa”, “estranea” e, quindi, “nemica”.
Anche se non riconosciuta come tale, la costruzione del nemico – al tempo del social media – viene percepita dalla società virtuale che ne subisce gli effetti anche nella vita reale.
Tutto ciò può essere ricollegato a quel processo prodromico che produce – come risultato finale a breve e lungo termine – dei gravissimi illeciti di natura penale che devono essere contrastati attraverso il rinnovamento di strumenti normativi che siano in grado di regolare una società che vive, sempre di più, attraverso la propria proiezione nel cyberspazio“.
Ringraziamo la Dott.ssa Fiorella Mandaglio per questa puntuale disamina e confidiamo di poterla avere ancora come gradita ospite su ‘Il valore Italiano ‘.