Direttamente dall'Istituto Superiore della Sanità qualche importante dettaglio sui vaccini.
Di Covid e vaccini parlan tutti: passeggiando per strada, fermandosi al bar per un caffè, sedendosi al tavolo per un aperitivo, prendendo il bus, siamo circondati da una miriade di esperti infettivologi, epidemiologi, immunologi. Sembra che la gran parte della popolazione sia laureata in medicina, chimica, biologia.
I mass media continuano a trasmettere interventi di autorevoli personalità della Sanità che illustrano l’importanza o meno della vaccinazione antiCovid. Internet appare lo strumento più in voga per apprendere quanto di vero o incredibilmente falso ci sai in rete.
Siamo tartassati da una enorme quantità di informazioni, ma privi della capacità di difenderci di fronte a questa mole di dati. Si è arrivati a negare la presenza della malattia, si è parlato di Dittatura Sanitaria, nessuno nega la presenza di frange di negazionisti o no vax. Hanno il diritto di esprimere la loro opinione e sostenerla. Non siamo qui per giudicare o condannare, credo che il compito di una testata sia informare, e nel caso specifico farlo sui vaccini.
Il vaccino più temuto dalla popolazione è l’ex Astra Zeneca, oggi rinominato Vaxzevria, vaccino con veicolo virale, un adenovirus di scimpanzè innocuo per l’uomo che si è dimostrato molto attivo nel ridurre il rischio di forme più gravi di COVID-19, ma che pare essere correlato ad una rarissima forma di trombosi che si manifesta talvolta con la forma peggiore, la Trombosi del seno cavernoso. Complicazione che ha coinvolto per lo più donne giovani adulte, ma che può molto più raramente presentarsi anche negli uomini e nelle donne anziane.
Oggi sappiamo che sia l’EMA, Agenzia Europea per i Medicinali, che ISS, Istituto Superiore di Sanità, hanno suggerito questo vaccino per la popolazione superiore ai 60 anni, non impedendo comunque l’uso nelle fasce di età inferiori. Praticare questo vaccino al di sotto dei 60 anni, in una fase in cui la malattia ha ridotto la diffusione non appare vantaggioso per la popolazione, quindi pare corretta l’indicazione del ISS. Tuttavia deve essere chiaro che la vaccinazione è oggi lo strumento unico per prevenire la malattia e limitarne la diffusione.
Esistono dei protocolli terapeutici di nuova generazione, tre farmaci sono stati autorizzati recentemente per il trattamento ospedaliero del COVID 19, altri due sono in attesa di autorizzazione, ma il senso della vaccinazione è la prevenzione, evitare di raggiungere la condizione di malattia, cui possa seguire la necessità di ricovero e trattamento. Da precisare che questo vaccino ha ridotto sensibilmente la comparsa di gravi forme della malattia che nei soggetti più deboli possono portare ad ospedalizzazione e morte, e i vantaggi sono stati certamente superiori al rischio collaterale della trombosi, che si attesta intorno ad un soggetto ogni centomila circa.
Il vaccino Pfeizer, come il Moderna, a differenza del precedente, ha un involucro lipidico fatto dall’uomo, ed è un vaccino a RNAm, RNA messaggero, cioè che contiene l’informazione per la trascrizione solo ed esclusivamente della proteina spike del virus che è la proteina che determina appunto l’immunità, quindi quella che stimola la risposta anticorpale e immunitaria nell’uomo. Gli effetti collaterali sono simili ad una sindrome influenzale di breve durata, febbre, dolori muscolari, dolore nella sede di inoculazione, mal di testa, stanchezza. Raramente si sono manifestate delle adenopatie nella sede ascellare dell’inoculazione, prurito, insonnia. Gli effetti collaterali sono più comuni dopo la seconda dose soprattutto nei giovani, probabilmente per la loro maggiore reattività immunitaria.
I vaccini anti COVID 19 manifestano la loro attività di protezione dopo circa due settimane dal completamento del ciclo vaccinale, pari a circa il 93%/95%. Al momento non si hanno certezze sul tempo di immunizzazione, dai lavori in corso oscillano dai 9 ai 12 mesi.
Israele è stato il primo Paese ad introdurre la terza dose, la Germania si è allineata come la Francia, che lo proporrà da Settembre, il Regno Unito sta valutando un piano vaccinale proprio per una eventuale terza dose, in Italia si sta ancora discutendo, ma una decisione sarà presa probabilmente entro fine mese.
In realtà il problema non è solo la durata dell’immunizzazione, ma il diffondersi delle nuove varianti, perché i vaccini in corso potrebbero avere una ridotta efficacia, da cui la necessità di una terza dose con vaccini corretti.In sintesi, i richiami andrebbero praticati, sia per via della durata del livello di immunità (ad oggi nessun test garantisce un controllo valido), sia per l’insorgenza delle nuove varianti.L’unico vaccino, ad oggi escluso dalla terza dose, sembra essere Johnson&Johnson, che prevede una sola somministrazione.
Ringraziamo l’Istituto Superiore della Sanità per le fonti sempre aggiornate, le risposte a mille domande, aiutando così chiunque abbia dubbi a rivolgersi a fonti autorevoli, non di certo al compagno di bevute al bar.