Inutile negarlo la pandemia in atto ha cambiato molti nel profondo, alcuni si sono riscoperti più fragili e più soli, altri hanno scoperto di aver paure che forse non conoscevano, altri ancora si sono ritrovati a rivalutare, anche positivamente, la vita, ritenendosi fortunati rispetto ad altri, magari parenti stessi, che purtroppo l’hanno persa.
Si é riscoperta l’importanza dei rapporti sociali e della condivisione nei momenti insieme, sembra quasi che per accorgersi delle cose talvolta debbano venire meno. Uno scritto molto interessante in tal senso é quello pubblicato su Il Domani d’Italia che ci ha girato Francesco Provinciali, già dirigente ispettivo del Miur e autore di numerosi articoli, che analizza il contesto attuale e fa un focus sull’elogio della gentilezza, ossia su quanto sia importante essere gentili, senza sperare di ricevere nulla in cambio o senza dover aspettare un occasione per farlo, questa é la chiave, probabilmente, per stare meglio con gli altri e soprattutto con noi stessi.
Sulla questione della gentilezza ne abbiamo discusso anche con Aldo Ronco, Mental Coach ICF, che si occupa di crescita personale, relazioni, comunicazioni, leadership, sport e gestione del team. Vi riproponiamo prima lo scritto del Dott Provinciali e poi le considerazioni di Aldo Ronco.
Nel suo scritto l‘Elogio della Gentilezza, Provinciali asserisce: “Questa lunga pandemia ci sta cambiando: siamo spaesati, disorientati, afflitti, senza riferimenti emotivamente rassicuranti. Viviamo in una condizione esistenziale di “sospensione”, dagli esiti ancora incerti, tendenzialmente soli e timorosi nelle relazioni interpersonali.
La disintermediazione sociale – di non recente deriva – ha sottratto spazi di interlocuzione e di dialogo, di confronto e di rappresentanza: c’è lo Stato, ci sono le istituzioni , sempre più lontani e inarrivabili e poi ci siamo noi cittadini, ogni giorno costretti a misurarci con una realtà incerta e orfana di approdi.
Poi c’è tutto quello che si è sedimentato nei nostri comportamenti individuali da qualche decennio a questa parte: la frantumazione del corpo sociale, la crisi economica, le solitudini e le fragilità.
Tutto questo sovente alimenta reazioni emotive di isolamento, diffidenza, rancore. Da tempo le relazioni sociali ci affliggono. La vita di condominio ci logora. Il traffico, gli orari, i turni di lavoro, le intemperanze dei colleghi, le code nei negozi e agli sportelli ci esasperano e ci rendono sistematicamente stressati.
Le coordinate di spazio e di tempo si fanno sempre più soffocanti ed opprimenti. Non possiamo coltivare il desiderio di uscirne affidando i destini del nostro stato d’animo alla speranza di una vacanza, al mito dell’oasi lontana. Non ci serve reagire invocando sempre la speranza della fuga. Queste consuetudini di vita appartengono al nostro stesso modo di essere.
Essere genitori, figli, vicini, parenti, colleghi, compagni di viaggio anche nel senso più ampio e metaforico del termine, di un viaggio fatto di giorni e lungo una vita”
“Vorremmo cambiare ma aspettiamo che siano gli altri a fare il primo passo verso di noi senza renderci conto che la reciprocità del vivere alla fin fine ci rende sempre perdenti.
Se ci preme essere più sereni, ben disposti, tolleranti dobbiamo recuperare il senso del buon gesto, dell’iniziativa: essere gentili senza dover attendere di ricambiare una cortesia.
La vita, in fondo, è un’alternanza di abitudini: dovremmo forse collettivamente abituarci alla gentilezza come metodo per affrontare le relazioni e le piccole difficoltà di ogni giorno.
Ci servirebbe anche per capire che sovente e più di quanto noi stessi crediamo, molte delle cose che ci riguardano dipendono dall’atteggiamento con cui ci accingiamo ad affrontare la vita e la realtà.
Possiamo esercitare già in famiglia questa “bontà dell’animo” che non è fatta solo di gesti esteriori ma di una disponibilità convinta a metterci empaticamente nei panni degli altri.
La famiglia infatti non va intesa solo come luogo di ricomposizione di conflitti o di sentimenti latenti ma come contesto di vita dove gli affetti si esprimono anche con comportamenti di generosa disponibilità.
E gli insegnanti, che hanno a cuore le buone sorti delle giovani generazioni, ricordino che la scuola è sede di apprendimenti e di istruzione ma che l’educazione alla tolleranza, al rispetto, ai modi cortesi nel porci verso gli altri non è un nostalgico ricordo di buone prassi del passato ma un principio che vivifica ogni giorno l’autentica formazione di ogni persona. Dalla chiusura delle scuole abbiamo appreso che il rapporto umano non può essere sostituito dalla tecnologia che ci trasmette immagini a distanza ma non emozioni, che non stimola la motivazione, primo vero requisito per ricomporre conoscenza e socializzazione.
Tra le tante cose che la pandemia ci sta insegnando ci sono le lezioni dei comportamenti umani spontanei e gratuiti: l’accoglienza, un sorriso, una parola rassicurante, che ci giungono da chi si sta occupando di noi e della nostra salute.
Questa bontà d’animo che cogliamo e spesso riceviamo con semplici gesti di umanità può essere moltiplicata all’infinito, fino a diventare forse l’unico modo per comprendere la vita degli altri, oltre la burocrazia opprimente che si frappone in modo spesso ostile e paralizzante”. Lasciamo ora lo spazio ad Aldo Ronco, Mental Coach ICF, che ha voluto farci notare come la gentilezza non sia solo una serie di regole bon ton ma abbia radici ben più profonde, ecco perché:
“Il termine “gentile”, da cui “gentilezza”, deriva dal latino “gentilem” che significa “appartenente alla stessa gens”. Nel mondo latino/ romano c’era l’idea che la “gens” fosse alla stregua di un clan, cioè facesse in qualche modo da grande contenitore a persone che, pur non essendo della stessa famiglia, appartenevano comunque a una stirpe comune, e questo faceva si che si creasse un forte senso di appartenenza fra tutti, e che si sviluppassero relazioni di onore di rispetto e di lealtà fra tutti i componenti della stessa gens.
Per questo la gentilezza è qualcosa di molto di più profondo dell’ essere manierato ed educato, buono o buonista, compiacente ed accondiscendente, molto spesso per fare bella figura o sentirsi una persona adeguata. Gentilezza è in primis riconoscersi in una stessa “gens”, quella degli essere umani, per questo la gentilezza diventa a questo punto un’espressione naturale e spontanea, non un insieme di pratiche installate o imparate come un cliché della buona educazione.
E quindi sarò naturalmente gentile con gli altri, e per essere gentile con gli altri devo in primis imparare ad essere gentile con me stesso. E qui si apre un altro bel tema, perché essere gentili con noi stessi non è che sia poi così difficile, è semplicemente che vi ci dedichiamo poco, perché non ci siamo abituati.
Essere gentili con noi stessi vuol dire raffinatezza e cura del dettaglio verso la propria vita, in ogni ambito della propria vita e in ogni momento della propria vita”.
Chissà che la pandemia nonostante i molti aspetti negativi davvero ci lasci un insegnamento positivo ossia: imparare ad apprezzare di più la vita e dunque ogni dettaglio di essa, al fine di poter imparare ad essere prima gentili con noi stessi e poi con chi si relaziona con noi.
Non ci resta che ringraziare i nostri due esperti Francesco Provinciali ed Aldo Ronco per questi interessanti spunti di riflessione.