La macchina organizzativa per il controllo dell’epidemia da coronavirus ha da tempo superato la fase di rodaggio e oggi è pienamente a regime. Occorre pensare alla macchina organizzativa per la ripresa economica.
Gli interventi da effettuare riguardano non solo il medio-lungo periodo (luglio-dicembre 2020) ma anche il breve periodo (aprile-giugno 2020). Le urgenze richiedono tempi di intervento veloci (gli stessi tempi rapidi con cui sono stati emessi i vari Dpcm per la gestione dell’emergenza epidemiologica). Ora occorre liberare velocemente risorse finanziare da fare arrivare ai lavoratori, alle famiglie e alle imprese.
La via più rapida per farlo è distribuire il patrimonio dello Stato sotto forma di liquidità. Così facendo si evita di ricorrere ai prestiti finanziari europei (siano essi ottenuti tramite Btp, Quantitative easing, Fondo Salva-Stati, eurobond, coronabond) la cui erogazione rappresenterebbe per gli italiani un fardello davvero insostenibile visto l’enorme debito pubblico che l’Italia ha. Inoltre, c’è una considerazione in merito al prestito sulla quale non ci si sofferma a riflettere fino a quando qualcuno non ce lo fa notare.
Come sappiamo, quando si prende in prestito una somma di denaro si contrae un debito. Se il debito è contratto con la banca, la banca concede un credito creando denaro “dal nulla”. Proprio dal nulla, veramente no. I soldi che la banca eroga sotto forma di prestito, come osserva l’economista Yanis Varoufakis, “sono il risultato del processo attraverso il quale la mano del banchiere oltrepassa il velo, supera la linea del tempo, si impossessa del valore che non è stato ancora prodotto, lo porta nel presente, lo dà (a fronte di un interesse) … all’imprenditore”. In sostanza, sostiene Varoufakis, il banchiere “sottrae una quota via via maggiore di valore di scambio al futuro e lo porta nel presente”.
In Italia quando si parla di spesa pubblica e di pensioni si insiste sulla necessità di evitare la formazione di nuovo debito da trasferire alle generazioni future sulle quali già grava un debito enorme.
Quale voce si alza invece per l’enorme macigno di debito che sta per rotolare sull’Italia? Nessuna.
La soluzione all’attuale crisi economica, tale da non fare aumentare il debito pubblico italiano, consiste nell’utilizzare il patrimonio dello Stato: una volta che lo si sarà trasformato in liquidità, i soldi da distribuire alle famiglie e alle imprese non deriverebbero da debiti (non verrebbero cioè dal futuro) ma deriverebbero da quanto è stato già accumulato (verrebbero cioè dal passato, come è giusto che sia).
Il 18 agosto 2014 la redazione del sito web indipendente Wall Street Italia pubblicava l’articolo “Debito pubblico: per ridurlo, vendita del patrimonio di stato?” riportando alcune affermazioni (riprese dalle pagine del Messaggero) dell’allora sottosegretario alla Pubblica Amministrazione Angelo Rughetti del Governo Renzi: “Credo che una delle priorità che dovremmo porci da qui a fine anno – spiega Rughetti – sia un’operazione da collegare alla legge di Stabilità che contenga un piano a 20 anni per la riduzione del debito, con la creazione di un fondo dove immettere il patrimonio pubblico, mobiliare e immobiliare e poi cedere il 49% delle quote del fondo stesso. Questa misura, che potrebbe essere inserita ad esempio in un disegno di legge ad hoc, con la riduzione del fabbisogno pubblico e avanzo primario crescente, dovrebbe portarci sotto al 100% nel rapporto tra debito e pil”.
Oggi, invece, si potrebbe pensare di trasformare il patrimonio immobiliare di Stato (340 miliardi circa) in liquidità e distribuirla a famiglie e imprese sotto forma di moneta digitale di Stato utilizzabile solo sul territorio nazionale. Fatto ciò, è come se il patrimonio convertito venisse “consumato” e quindi non più vendibile, e nemmeno trasformabile in moneta digitale. Il patrimonio resterebbe in tal modo in Italia.
Nel 2014 la vendita del patrimonio di Stato per diminuire il debito pubblico poteva sembrare una possibilità; oggi la vendita del patrimonio di Stato per favorire la ripresa economica si rivela una necessità.
Claudio Maria Perfetto