Era il 7 gennaio del 1839 quando lo studioso Francois Arago, all’Accademia francese di Scienze, presentò ufficialmente il dagherrotipo messo a punto dal francese Louis Jacques Mandé Daguerre. La storia ci racconta che tuttavia la prima fotografia nota sia stata scattata addirittura 13 anni prima, da Joseph Nicéphore Niépce, con cui Daguerre aveva collaborato. Niépce catturò l’immagine del panorama che vedeva dalla finestra della sua casa a Le Gras, sfruttando le capacità d’annerimento del bitume di Giudea su una lastra di peltro, con una posa di circa otto ore. Da quest’idea nacque la tecnica della dagherrotipia che forniva un’unica copia positiva dell’immagine, non riproducibile, su supporto in rame su cui era applicato uno strato d’argento. La fotocamera per la dagherrotipia è composta da due scatole di legno (scorrevoli una dentro l’altra per consentire la messa a fuoco), una fessura per la lastra di rame sul retro e frontalmente un obiettivo fisso, in vetro e ottone.
In quegli anni la fotografia è in realtà nell’aria. Dalla Gran Bretagna Henry Fox-Talbot si affretta a pubblicare la sua invenzione, il calotipo, un negativo fotografico su carta che permette la stampa di più copie. Fox-Talbot risolve così alcuni dei problemi più gravi del dagherrotipo, fragile e costoso nei materiali e soprattutto in copia unica, ma ineguagliabile per nitidezza. Un altro parigino, Hippolyte Bayard sviluppa in contemporanea un propria tecnica che permette la riproduzione di più copie, ma Aragon, deciso a favorire Daguerre, lo allontana dalla ribalta: la foto più celebre di Bayard realizzata con la sua tecnica è un autoritratto fotografico in cui appare come un annegato, esplicitando il senso sarcastico nella didascalia.
A Milano, nel finire d’anno, Alessandro Duroni inizia l’importazione dei primi apparecchi Daguerre-Giroux. La fotografia inizia a dilagare e tutti coloro che potevano permettersi l’acquisto di uno dei suddetti apparecchi (abbastanza costosi, scomodi e limitati alla sola fotografia di ritratto e paesaggio) fotografavano con gioia indescrivibile qualunque cosa, anche la più insignificante, emozionandosi per il risultato ottenuto.
Ma il dagherrotipo ha vita breve, proprio perché a soppianterla sin dal 1841 è la fotografia analogica. I primi esperimenti, in Inghilterra, sono quelli di William Henry Fox Talbot che crea il metodo chiamato calotipia e basato sull’utilizzo di un negativo di carta. Circa 50 anni dopo, nel 1888 nascono la Kodak N.1 e la pellicola avvolgibile, che fanno diventare la fotografia un hobby possibile per chiunque. L’era dei rullini avvolgibili dura circa un secolo e termina con l’arrivo delle foto digitali scattate da macchine fotografiche che utilizzano, al posto della pellicola fotosensibile, un sensore in grado di catturare l’immagine e che adesso sono installate in tutti gli smartphone.