Faccia a faccia con il giornalista cattolico e critico musicale piemontese Maurizio Scandurra, autore di una singolare proposta che unisce economia, sacro e cultura.
Gli effetti della pandemia riflettono le proprie nefaste ricadute anche su fede e musica. Chiese e concerti attraversano un egual periodo di crisi, dovuto alle drastiche riduzioni degli accessi che trasformano il popolo di Dio e le masse di seguaci dei grandi artisti della canzone in un fiumiciattolo di pochi adepti. E c’è chi, nel marasma e nella confusione generale, non si perde d’animo e prova ad abbozzare soluzioni efficaci e innovative. Capaci, per quanto possibile, di salvare il salvabile, e al contempo restituire ruolo e dignità a due ambiti del vivere civile nazionale che necessitano di essere ora più che mai difesi, aiutati e salvaguardati.
Come Maurizio Scandurra, critico musicale, giornalista cattolico e saggista, che per primo ha proposto e rilanciato l’ipotesi di poter ospitare concerti pop di noti esponenti della canzone italiana e internazionale nelle chiese.
“Dalla semplice osservazione. Basiliche, cattedrali e templi cristiani in genere per lo più offrono grandi spazi con soffittature elevate che garantiscono distanziamento e ariosità. Ma, soprattutto, consentono capienze elevate nel rispetto delle prescrizioni da Covid-19 senza bisogno alcuno di ricorrere al taglio dei posti, come invece per club e teatri“.
“Sono molteplici. E questo, sostanzialmente, per tre ordini di ragioni. In primis, garantire la continuità di un settore, come quello della musica dal vivo, che paga lo scotto pesantissimo di una completa annata da fumata nera con ampie incertezze anche per il 2021. Idem per la preghiera nei luoghi di culto di qualsivoglia credo, confessione e religione, che dev’essere regolarmente garantita a tutti: da sempre il sacro è parte integrante dell’uomo. Terzo, assicurare pubblico ai concerti in chiesa significa cooperare fattivamente alla resilienza di entrambi” .
“Con l’affitto dei locali agli impresari di live e tour, parrocchie e istituti religiosi riceverebbero entrate da imputare alle proprie spese vive, gravate in più dal riscaldamento per i mesi invernali. Ricavandone anche risorse preziose per cercare almeno di mantenere costante, se non incrementare in questo momento di difficoltà globale, il prezioso e amorevole servizio di assistenza a poveri, malati e indigenti tramite mense sociali, pacchi-famiglia e centri di ascolto”.
“Più posti disponibili in sicurezza, più gente che si diverte, e ricavi maggiori per il sostentamento degli addetti ai lavori rispetto a quelli risicati e fattibili con le attuali limitazioni. L’industria musicale vive ormai solo più di spettacoli a pagamento: mica di royalties, termine ridicolo se messo a confronto con la dematerializzazione crescente delle sette note a favore dello streaming che ha depauperato il diritto d’autore. Non è più il tempo di musicassette, cd e vinili. Internet ha devastato tutto”.
“Dipende da che parte si va. Musica è aggregazione, capannelli, amici, gioia e risate condivise. Sono state appena varate le restrizioni alle attività serali di bar, pub, ristoranti, e già qualche virologo comincia ben a portarsi avanti pensando al lockdown di Natale al posto di albero, palline colorate e presepe”.
“Impedire le attività ludico-ricreative comporta un pericolo ben maggiore di un virus mutante che comunque si può contenere e gestire: la consegna pressocché irreversibile dei più fragili tra i giovani alla spietata dittatura già in atto di smartphone, social e web. Milioni di soli innanzi a uno schermo di cristalli liquidi che non s’incontreranno mai. Almeno per ora. E intanto proliferano ovunque feste clandestine e rave party abusivi“.
“Restituire centralità alla famiglia, oggi più che mai al centro di violentissimi attacchi: per via dell’incertezza economica, poiché essere padri, madri, figli e fratelli ha un costo. Ma anche a causa del dilagare confusionale e farneticante di tutte le inutili teorie del gender tanto care a certa sociopsicologia atea e progressista, immorale e pretestuosa, che pretende persino di riscrivere le regole della natura e della vita“.
“Ne cito due. Carlo Olmo, avvocato vercellese noto anche come il “Lupo Bianco”. Un benefattore eccezionale meritatamente insignito di tutte le più alte onorificenze di Stato che, durante il lockdown, ha contribuito a salvare centinaia di vite umane grazie alla sua straripante, toccante e libera generosità. Orfano, dopo essere stato adottato da una famiglia-bene, per sua stessa pubblica ammissione ha avuto tutto e ha scelto di restituire ancor di più. E l’altro è Carlo Acutis, il beato donato dal Cielo alla modernità. Eccellere come lui nella normalità è fare in maniera straordinaria le cose ordinarie: questa è la formula della santità. Anche nell’era digitale famiglia, fede, studio e amore per il prossimo si rivelano il poker vincente per lasciare il segno. Per restare nel tempo. E così eternarsi anche un po’ già quaggiù, come neanche una storia fulminea su Instagram potrà mai fare”.
“E’ la vita che vivo ogni giorno, e che mi ha permesso di uscir fuori da una tremenda depressione che anni fa segnò inaspettatamente una dura battuta d’arresto alla mia vita: lavoro, soldi, famiglia, affetti, amici. All inclusive, come si direbbe oggi. E mi sono ripreso con un aiuto speciale. Laddove medici ed esperti fallivano, è riuscita invece la Divina Provvidenza. Che, nel mio caso, si chiama don Adriano Gennari. Un Padre Pio 3.0 con un più che straordinario e potente carisma nell’intercessione. Fedeli di tutto il mondo a Torino fanno la fila per incontrarlo, come un tempo per il frate con le stimmate. Standogli accanto ho imparato a pregare davvero. A confidare solo in Dio, e mai nell’uomo, come insegnano le Scritture. Ad amare i poveri. Ed è questa, in fondo, la vera beatitudine”.
“Il titolo dice già tutto: ‘Un uomo onesto’ di Monica Zapelli. Narra la tragedia di Ambrogio Mauri, stimato industriale italiano degli autobus che pagò con la vita il rifiuto di piegarsi alla richiesta di tangenti per continuare a lavorare. Dovrebbero leggerlo tutti coloro che operano nel pubblico. Vorrei un museo di corriere storiche dedicato a lui“.
“I grandi sogni sono come i primi amori: per me le due cose coincidono. La scatola parlante affascina, e può e deve anzitutto amplificare contenuti edificanti. Ricordo con affetto e riconoscenza il grande regista Michele Guardì, il primo a darmi un’occasione così importante. E, con lui, Antonio Lubrano, Pippo Baudo, Alessandro Meluzzi e l’indimenticato Fabrizio Frizzi: maestri con cui ho condiviso memorabili esperienze professionali. Bei ricordi. Indelebili, senza dubbio“.
“Ho già in mente titolo e format, anche per un libro: ‘La seconda chance. Storie di uomini e donne che ce l’hanno fatta di nuovo’. Un inno alla vita sulla falsariga di chi, credendo in Dio, ha saputo ritrovare anche fiducia in sé stesso centrando vette che prima apparivano impossibili. Ma anche un ipotetico ‘Beati Loro, Beati Noi’, sulle storie dei santi della porta accanto eppure così vicini e attuali per aiutare la società a progredire nel bene. Amo perdutamente il tg di Enrico Mentana e la schiettezza di Milena Gabanelli e poi certi talk show. Quelli condotti da professionisti seri tipo Mario Giordano, Paola Saluzzi, Barbara Palombelli, Bianca Berlinguer, Veronica Gentili, Corrado Formigli, Paolo Del Debbio, Nicola Porro, Giovanni Floris e Massimo Giletti“.
“Mi vedrei bene nel ruolo di opinionista, a proporre soluzioni anziché polemiche. Lo farei con garbo, lasciando a ognuno spazio di parola e di ascolto. Perché questo era un tempo la tv, e così vorrei fosse anche ora. Per lo meno la mia, appena è il momento”.
“Antonello Venditti, nella sua intensa ‘Amici mai’, trent’anni fa cantava: ‘Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano’. Del resto secoli addietro la pensava così anche il cantore cieco Omero, per il quale lo stesso vivere è solo un fatto di eterni ritorni. Spero lo sia anche per me: dipende tutto dal piccolo schermo. Io sono già in viaggio. Amen!”.
Mel Menzio