Elena Bonetti, ministro delle pari opportunità, ci tiene a precisare, con un post sulla sua pagina Facebook, di essere stata vittima di una Fake news che le avrebbe attribuito dichiarazioni mai fatte, virgolettandole in un titolo come fossero state da lei proferite.
La frase ‘incriminata’ che chiaramente ha creato, e dato il periodo non poteva essere altrimenti, una polemica enorme sui social, é la seguente: “ In smart working ci si piò occupare dei figli. I Bonus baby sitter non servono”. I genitori già alle prese con una situazione davvero complessa, in cui gli equilibri in casa rischiano di saltare da un momento all’altro, tra una call e una lezione in Dad, prendendo per vere queste affermazioni, fatte da una donna e per giunta ministro delle pari opportunità e della famiglia, si sono sentiti davvero presi in giri ed hanno condiviso la frase, in ogni dove con rispettivo incipit di dissenso, facendola diventare in poco tempo virale. Da qui la necessità del Ministro Bonetti di tutelarsi e soprattutto rassicurare sul fatto che nulla di quanto é emerso rispecchia il suo parere.
Vediamo le su ultime dichiarazioni, che forse in parte rassicureranno quei genitori che sono alle prese con lo smart working, che di smart, permettetemi, essendo mamma di due figli, ha davvero molto poco. Ma in realtà l’equivoco, se di equivoco vogliamo parlare, da dove nasce, quali punti del Dl sostegno, in vigore dal 15 marzo, hanno aperto a tali interpretazioni?
Il ministro Bonetti ci tiene a precisare: “In quest’anno di pandemia ho avuto modo molte volte, a mezzo stampa e in circostanze pubbliche, di esprimere la mia posizione sullo smartworking, che non può essere considerato uno strumento di conciliazione per prendersi cura dei figli lavorando a casa. È invece uno strumento innovativo di organizzazione del lavoro, per gli uomini e per le donne. In questo particolare momento in cui è necessario evitare la circolazione di persone e il loro possibile contagio, è uno strumento che ci aiuta tutti a contenere il virus”. Poi aggiunge: ” Ripeto costantemente che i carichi di cura della famiglia non possono e non devono ricadere sulle donne, ma diventare una responsabilità condivisa alla pari tra i genitori. Chiunque abbia a cuore la verità, prima di diffondere interpretazioni prive di fondamento può verificare quanto ho più volte detto in proposito”.
Poi conclude: “Nei miei uffici in questi giorni abbiamo lavorato per allargare nei prossimi provvedimenti la platea dei beneficiari del bonus baby-sitter ai genitori, attualmente in smartworking, dei bambini delle scuole dell’infanzia e della primaria, così come a tutti i professionisti della sanità”. Ma da dove nasce l’interpretazione che viene definita ‘errata’ dal Ministro delle pari opportunità, ma che effettivamente a ben leggere la normativa in atto, qualche perplessità la lascia?
I criteri per ottenere i congedi per genitori e i bonus baby-sitting previsti dall’articolo 2 del decreto legge 13 marzo 2021, n. 30, effettivamente al comma 1 esplicitano, qui semplifichiamo la normativa per renderla comprensibile ai più:
Il testo della norma impedisce in realtà a una famiglia di usufruire del congedo se uno dei due genitori lavora da casa, come se lavorare da casa fosse conciliabile con la cura dei figli. Su questo la Cgil é intervenuta subito.
Su Collettiva, Cgil, viene riportato un contributo di Esmeralda Rizzi, facente parte dello Staff unico delle politiche di genere della Cgil, ove si legge proprio in considerazione del Dl Sostegni: “ Secondo le norme del Dl Sostegni, in vigore dal 15 marzo, se si è in smart working non si ha accesso ai servizi per i bambini, né al congedo né al bonus baby sitter. Sulle donne ricade così un peso enorme che rischia di spingerle ancora più fuori dal mercato del lavoro”. Poi ancora: “Resta già difficile accettare un congedo che copre appena il 50% della retribuzione, ma renderlo incompatibile con il lavoro da casa è davvero un prezzo intollerabile”.
“Inoltre lo smart working é più difficile, stressante, faticoso. Per raggiungere i medesimi risultati e garantire alle aziende la medesima “soddisfazione”, si è dovuto lavorare di più sia in termini di orario che di impegno”
Ed è per questo, conclude, che non è accettabile che nel Dl Sostegni, un provvedimento normativo, si equipari il congedo per occuparsi dei
figli in Dad allo smart working. Le due cose non possono essere alternative. Lo sanno bene le lavoratrici e i lavoratori che dallo scorso anno si sono ritrovati in casa a condividere spazi, dispositivi, tempo, e cura. Le lavoratrici soprattutto, perché, inutile girarci attorno, in Italia il lavoro di cura è ancora e soprattutto un lavoro per donne”.
Facile dunque comprendere perché si sia finiti per recepire un messaggio sbagliato, spiace che siano state ‘messe in bocca’ parole non dette al Ministro Bonetti, ma a dir il vero nella sostanza poco cambia, la normativa rischia di fare danni e non pochi, specie alle donne, se non verrà cambiata. Ieri mi sono imbattuta, per caso, in un post facebook pubblicato sulla pagina ‘Papà per scelta’ in cui devo dirvi che mi sono riconosciuta in ogni singola parola.
Mi permetto, dunque, di ricondividere con voi questo scritto su quello che é realmente lo smart working, non per chi cerca di legiferare su questo strumento, ma per chi lo vive, esattamente come me con tutte le difficoltà del caso: spazi, figli in Dad e gestione domestica. Ringrazio l’autore del post con cui mi sono interfacciata ieri perché mi ha permesso la pubblicazione dello stesso, che qui di seguito vi riporto:
” La dovete smettere di chiamarlo smartworking. Trasformare il tavolo della cucina in una scrivania improvvisata, rifinire un cuore di pasta di sale nel mezzo di una conference call, mandare una mail al cliente mentre tuo figlio ti chiede le divisioni in colonna, non è smartworking. Far passare l’homeworking come una grande opportunità, ma senza fare i conti con lo sbatti che implica, è una presa in giro.
Se proprio vi piace l’inglese chiamiamolo STARTworking, perché sai quando inizi, ma non sai quando finisci.
Oppure HARDworking per tutti quei genitori costretti alla produttività lavorativa da casa, con in più le mansioni di cura e di supporto educativo dei figli.
Viene definito smartworking, non per un vezzo linguistico che ci fa diventare tutti intelligenti, ma perché comporta sostituire la presenza obbligatoria in ufficio, decidendo dove e quando lavorare. Si chiama smartworking perché la retribuzione non si basa sul tempo dedicato ad una particolare attività, ma sul raggiungimento di specifici obiettivi.
Quello che invece noi facciamo da un anno è DARKworking, perché l’unica luce in fondo al tunnel è quella che lasciamo accesa la notte per recuperare il lavoro che non siamo riusciti a fare di giorno.
Nei contratti regolari di smartworking si parla di diritto alla disconnessione, di diritto alla formazione, di limiti e caratteristiche del potere di controllo dei datori di lavoro, di tempi di riposo del dipendente, di strumenti utilizzati per l’esecuzione delle attività.
Non basta sbandierare il diritto al lavoro agile se i nostri contratti sono ancora subordinati al numero di ore settimanali lavorate.
Che cosa succede se mi faccio male in casa, nel tentativo di salvare mio figlio da una caduta rovinosa dal divano, mentre sono in call con un cliente? Lo considerate infortunio sul lavoro?
Che cosa succede se perdo una chiamata del mio capo mentre sto addormentando mio figlio? Inadempienza sul posto di lavoro?
Insomma, chiamatelo come vi pare, ma non fatelo passare per lavoro agile, perché siamo abbastanza intelligenti per capire che di smart ha solo l’esigenza di blindarci in casa per bloccare la diffusione dei contagi“
Non ho altro da aggiungere se non che quoto ogni singola parola di questo blogger di cui vi invito a seguire la pagina ‘ papàperscelta ‘. E voi cosa ne pensate della normativa in atto e dell’attuale smart working? Tutti contenti o se ne aveste modo tornereste tutti rapidamente in ufficio?