L’alternanza scuola lavoro rappresenta uno dei più importanti progetti formativi della scuola secondaria superiore. Come già espresso nel precedente articolo, dall’emblematico titolo “Alternanza scuola lavoro, un flop?“, si tratta di un percorso didattico che prevede l’inserimento di un allievo nel mondo produttivo reale per un determinato numero di ore a settimana. Progetto che ha l’obiettivo primario di mettere in collegamento diretto scuola e imprese, attraverso il quale gli studenti possono rapportarsi per la prima volta con il mondo del lavoro.
Nei giorni scorsi ho ricevuto una considerazione molto interessante sia da un punto di vista culturale sia da un punto di vista operativo, che mi ha fatto riflettere. Si tratta di uno scritto inviato da un’attenta lettrice dei miei articoli che mi invita a riflettere su varie problematiche che vanno dalla difficoltà di tradurre in pratica le teorie formative, ai rischi che si possono correre nell’inviare giovani studenti presso aziende che presentano diverse problematiche.
Prima di tutto ringrazio Silvia per aver posto questi problemi scrivendomi. Non è un fatto secondario quello di scrivere. Dimostra, invece, interesse a comprendere e, soprattutto, volontà ad agire per raggiungere precisi obiettivi. Non solo; a volte nel testo si scopre l’ansia e la paura di non essere adeguati. Personalmente sono convinto che chi scrive ha un preciso intento, quello di essere operativo e di esserlo in modo efficace.
In questa mia riflessione mi propongo di affrontare due temi. Il primo, che è sviluppato in questo articolo, riguarda il rapporto tra teoria e pratica, vale a dire il rapporto tra la teorizzazione di una serie di azioni didattiche e la loro realizzazione. Il secondo, oggetto del prossimo scritto, prende in esame i rischi che possono nascere quando la realtà territoriale ha la possibilità di condizionare l’attività didattica.
È questo un tema dalla portata generale che merita subito qualche approfondimento. Molte volte il legislatore ai vari livelli (il parlamento per le leggi ed il governo con le sue strutture per i regolamenti e le circolari attuative) corre il rischio di imporre norme che sembrano astratte e di difficile attuazione. Quante volte si sente l’espressione: “è facile fare queste affermazioni, difficile è attuare quanto viene proposto”.
A questo proposito si deve fare una sottolineatura giuridica ed esplicativa: il compito del legislatore è quello di porre dei principi e di indicare degli obiettivi da raggiungere. Sia gli uni che gli altri devono essere precisi ma non troppo articolati, perché tocca a chi deve applicarli nella realtà concreta trovare le strade per la loro attuazione specifica, usando gli opportuni poteri discrezionali.
Quando una norma, una regola è troppo dettagliata, corre il rischio di non essere attuabile con facilità. La burocrazia, del resto, avrebbe gli appigli per giustificare la mancata applicazione.
Mi viene in mente, tra le altre cose, a questo proposito, un vecchio detto del diritto romano che aiuta a capire. I giuristi romani dicevano “summum ius, summa iniuria”. La frase tradotta in modo forse poco letterale, potrebbe suonare così: “Più il diritto è dettagliato, maggiore è il rischio di creare ingiustizia”. Per il ragionamento che ho introdotto in questa sede, l’espressione potrebbe essere riformulata in questi termini : “Più la norma sull’alternanza è articolata e dettagliata e più alta è l’impossibilità della sua attuazione”.
Per arrivare ad una conclusione seria si può, allora, dire che l’istituto dell’alternanza scuola-lavoro, nella nostra legislazione, è indicato nelle sue caratteristiche generali, caratteristiche che possono valere per tutto il territorio italiano; tocca però, poi, alle singole istituzioni scolastiche definire nei dettagli le fasi operative, tenendo conto delle situazioni territoriali specifiche. Non si deve dimenticare, infatti, che nella legislazione scolastica italiana vige un principio, quello dell’autonomia, che permette ai singoli istituti scolastici di fare le opportune scelte discrezionali, nel rispetto delle linee poste dal legislatore.
Per quanto riguarda la considerazione appena illustrata, è necessario ribadire che non sempre a livello periferico – e quindi a livello dei singoli istituti – c’è stata un’attenta applicazione delle norme. In qualche circostanza si è notata un’applicazione burocratica delle norme sull’alternanza scuola-lavoro. Si è riscontrata, cioè, un’applicazione della legge più legata alla compilazione delle carte che all’attuazione di quanto della normativa è previsto. Sarebbe un discorso molto lungo per approfondirlo in questa sede, ma faccio due esempi, richiamando due punti della normativa: la figura del tutor e il progetto didattico.
Per quanto riguarda la figura del tutor, sono stati commessi errori piuttosto gravi. La legge, introducendo nell’alternanza la figura del tutor designato dalla scuola, vuole che sia individuato in base alle caratteristiche del progetto. In altre parole, il tutor deve essere il docente che ha le specifiche competenze collegate agli argomenti del progetto e, quindi, sia in grado di dialogare con l’impresa e i tecnici dell’impresa referenti dell’alternanza.
Se si dovesse fare un esame dei tutor nominati, si scoprirebbe che molte volte il tutor della scuola è il docente che ha minor numero di ore di insegnamento e via dicendo. Questo è un modo per portare nel concreto al fallimento il progetto di alternanza scuola-lavoro.
Anche sul progetto didattico, e questo è il secondo esempio, si possono fare molte riserve, in quanto non è stato rispettato lo spirito della norma. Il legislatore prima e il ministero poi, nella fase attuativa, quando affronta il tema del progetto didattico, ha in mente un documento idoneo a permettere la sperimentazione in azienda di contenuti che, a livello teorico, sono da somministrare in aula. Il progetto deve, pertanto, essere articolato in varie parti con l’indicazione del punto di partenza, vale a dire il programma didattico svolto in classe e i punti di verifica in azienda.
Tutto questo non sempre è stato fatto e si è scoperto che, in diversi casi, gli allievi inseriti in un progetto di alternanza, una volta arrivati nei locali aziendali, venivano impiegati a fare fotocopie o venivano utilizzati per sostituire personale assente, perché nulla in precedenza era stato definito.
Questi fatti incresciosi si sono verificati perché l’alternanza scuola-lavoro è stata considerata in termini negativi da chi aveva invece il dovere di rendere concreta un’iniziativa proposta da una legislazione che ha come obiettivo quello di rendere più stretto il rapporto tra la scuola e il mondo del lavoro.
Mi sembra anche opportuno, a questo proposito, un’ulteriore considerazione. Certamente l’incontro collaborativo tra scuola ed impresa è molto utile per permettere alla scuola tutti gli aggiornamenti tecnologici che solo il mondo delle imprese è in grado di offrire, ma vi è di più. L’inserimento nella realtà produttiva dell’allievo è anche un’occasione per permettere al giovane di farsi apprezzare per le doti che possiede. La presenza in azienda, per un certo numero di ore, offre la possibilità per l’imprenditore di valutare lo studente in modo più completo.
In un’ultima analisi la realizzazione di un progetto di alternanza scuola-lavoro garantisce una conoscenza più approfondita della persona. Cosa che il tradizionale colloquio per l’assunzione generalmente non permette. Questo è un aspetto da non sottovalutare perché facilita anche lo studente che, non solo conosce una realtà nuova, quella aziendale, ma si fa conoscere, da un suo potenziale datore di lavoro.
Ho cercato, con questa riflessione, di evidenziare nel modo più approfondito possibile, luci e ombre del modulo didattico di alternanza scuola-lavoro. Mi premeva mettere in luce il rapporto tra la teoria, vale a dire la legislazione esistente, e la pratica, ossia la realizzazione concreta dell’alternanza.
Resta ancora da vedere, per ragionare in modo anche più approfondito con la signora Silvia di Roma, la realizzazione dell’alternanza scuola-lavoro in una grande città come la capitale di Italia, con tutti i problemi e le preoccupazioni che questa attivazione comporta, rischi compresi. Di questo si parlerà nel prossimo scritto.
Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative