“Mi chiedono sempre quanti libri ho venduto… mai quante parole ho buttato via…” diceva con quella voce struggente e che la identificava come la poetessa che in versi affermava: “non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta”. Nata a Milano il 21 marzo 1931, così affezionata ai suoi Navigli, dove ha vissuto gran parte dell’esistenza fino al 1° novembre 2009, Alda Merini era un outsider, ma non le importava. Un po’ bohemien, e un po’ clochard, la vincitrice del Premio Montale nel 1993, era un rossetto, una sigaretta, una casa colma di innumerevoli oggetti, ma soprattutto un’anima “persa” di poesia e amore, che visse anche in manicomio, e poi ne uscì.
In occasione del decennale della morte, che cade proprio quest’anno e sarà celebrato dal Comune di Milano, in programma ci sono diverse iniziative, oltre all’intitolazione alla poetessa di un ponte sul Naviglio. Autrice di innumerevoli poesie, nel 1986 Alda Merini scrisse “L’altra verità. Diario di una diversa”, primo libro in prosa in cui si legge nella prefazione di Giorgio Manganelli: “... non è un documento, né una testimonianza sui dieci anni trascorsi dalla scrittrice in manicomio. È una ricognizione, per epifanie, deliri, nenie, canzoni, disvelamenti e apparizioni, di uno spazio – non un luogo – in cui, venendo meno ogni consuetudine e accortezza quotidiana, irrompe il naturale inferno e il naturale numinoso dell’essere umano“. E il suo modo di essere continua a riemergere ogni volta che se ne incontrano i versi: “Anche se la finestra è la stessa, non tutti quelli che vi si affacciano vedono le stesse cose: la veduta dipende dallo sguardo”.
Simona Cocola