Questa volta il Bell’Antonio non è riuscito a tirar fuori dal cilindro una delle tipiche entrate eleganti che ne hanno caratterizzato la carriera, conclusasi più di 30 anni fa. Il tackle è stato senza ombra di dubbio a gamba tesa, anche se effettuato a suon di dichiarazioni: “Se Maradona avesse giocato nella Juventus, anziché nel Napoli, non solo avrebbe potuto vincere di più ma probabilmente oggi sarebbe ancora qui“. È il pensiero di Antonio Cabrini, campione del Mondo nel 1982 e per tredici stagioni alla Juventus, sulla scomparsa di Diego Armando Maradona.
In una lunga intervista rilasciata ad Anna Lo Calzo per l’emittente Irpinia Tv di Avellino si dice certo che l’ambiente bianconero, e non la società, “lo avrebbe salvato” perché “l’amore di Napoli è stato tanto forte e autentico quanto malato“.
Secondo Cabrini, ritenuto uno dei primi terzini moderni della storia del calcio, la città partenopea amava talmente tanto il suo idolo da concedergli tutto: “Era come l’amore incondizionato di una madre verso un figlio che sbaglia, ma al quale si perdona tutto. Maradona a Napoli era intoccabile, nessuno ebbe mai la forza ed il coraggio di dirgli che stava sbagliando”.
Come ribadito da molti esperti di calcio, compagni di squadra e avversari il ‘Pibe de oro’ ha rappresentato appieno la città di Napoli incarnandone l’orgoglio, la voglia di riscatto sociale, i sogni avverati e le promesse mantenute. In sostanza “Maradona trascendeva il calcio e Napoli scelse lui, a prescindere da ogni vizio, come il santo da venerare“.
Il campione del mondo azzurro ha poi definito El Diez, insieme a Pelè, il più grande giocatore di tutti i tempi, anche se “non si possono fare paragoni” perché hanno giocato in due epoche diverse. Ma entrambi dotati di “una genialità innata” e di “una visione del calcio che andava oltre ogni tecnica e ogni logica calcistica”, motivo per cui sono considerati dei veri e propri eroi.
Cabrini infine ha sottolineato che Maradona a differenza dell’irriverenza e dell’irrequietezza che a volte aveva mostrato fuori dal campo, dentro il rettangolo verde “era un avversario leale, corretto e disciplinato”, inoltre nonostante venisse marcato in modo pesante non si lamentava mai. “Era un leader forte, coraggioso, irraggiungibile, generoso. Nell’ambiente del calcio non veniva considerato semplicemente “un giocatore del Napoli, – conclude l’ex calciatore – ma era il giocatore di tutti, un fenomeno percepito come tale, a prescindere dalla squadra in cui militava. Per noi Diego fu un esempio di coraggio e di generosità senza eguali“.
Carlo Saccomando