Il 25 novembre, come tutti i giorni dell’anno, sono diversi i Santi e il Beati celebrati dalla Chiesa cattolica, così come da quella ortodossa. Lo scorso anno abbiamo parlato di Santa Caterina d’Alessandria, martire nel IV secolo, mentre oggi vogliamo fissare l’attenzione su San Mosè di Roma, martire durante la persecuzione dell’imperatore Decio. Siamo a metà del III secolo e le persecuzioni colpiscono duramente anche i vertici della Chiesa: vescovi, patriarchi e lo stesso papa Fabiano.
Per molti mesi è impossibile eleggere un nuovo pontefice. Per questo motivo, la Chiesa romana viene amministrata da un collegio di sacerdoti, tra cui spicca per prestigio ed anzianità Mosè, una sorta di decano. Durante la persecuzione, molti cristiani hanno rinnegato la loro fede. Nascono durissime polemiche fra chi sostiene una linea di intransigenza e chi, come Mosè, è su posizioni più moderate, invocando tolleranza per coloro che hanno rinnegato o si sono sottratti prudentemente al pericolo.
Mosè muore nel 251, vittima di una lunga prigionia, anche se non è martire nel vero senso della parola. In prigione sovente consola gli altri cristiani tenuti come lui in catene, riferendo loro le lettere di San Cipriano di Cartagine, il vescovo spesso chiamato il “Papa africano”, fra i Padri della Chiesa antica.
Il Martirologio Romano gli attribuisce questo titolo: per aver comunque testimoniato la propria fede fino alla morte in catene.
Alessio Yandusheff Rumiantseff