FIRENZE. Già tempi grigi, squallidi e bui per una magistratura sempre più incomprensibile, per molti lontana dalla legge, lontana dalla giustizia. Sentenze che lasciano amarezza, sconforto e tanti dubbi insieme al dolore per chi non c’è più e chi, colpevole, la fa sempre franca.
“Non c’è niente, Martina non c’è più, e anche la giustizia non c’è più”. Così Bruno Rossi, il padre di Martina, ha commentato in aula l’assoluzione di Alessandro Albertoni e Lucca Vanneschi nel processo di appello per la morte della figlia Martina. I genitori di Martina hanno assistito alla lettura del dispositivo tenendosi per mano. Dopo la lettura la madre, Franca, è uscita dall’aula. “La giustizia italiana si è interrotta sul lavoro fatto in precedenza”, ha detto ancora Bruno Rossi. “Cosa farò domani?”, ha aggiunto rispondendo alle domande dei giornalisti, “terrò stretta mia moglie”. “Sono arrabbiato, l’assoluzione perché il fatto non sussiste – ha detto ancora – Vuol dire infangare l’onore di Martina, vuol dire sostenere che è volata giù da sola”. La corte di appello di Firenze, ribaltando il primo grado, ha assolto “perchè il fatto non sussiste” Alessandro Albertoni e Luca Vanneschi, imputati di tentata violenza sessuale di gruppo nel processo per la morte di Martina Rossi, la studentessa 23enne deceduta il 3 agosto 2011 precipitando da un balcone dove era in vacanza a Palma di Maiorca. Secondo l’accusa la ragazza stava sfuggendo a un tentativo di stupro. Il 14 dicembre 2018 il tribunale di Arezzo aveva condannato i due imputati a 6 anni. Secondo quanto riportato nel dispositivo della sentenza, Albertoni e Vanneschi sono stati assolti perché il fatto non sussiste dall’accusa di tentata violenza sessuale di gruppo e anche da quella di morte in conseguenza di altro reato, accusa dichiarata già prescritta nel corso della prima udienza del processo. Per gli imputati la procura generale aveva chiesto una pena di 3 anni, la massima edittale per l’accusa contestata.