Gli economisti hanno sempre messo in guardia il governo che se c’è un alto debito pubblico la crescita verrà rallentata. Inoltre, saranno le generazioni future a pagarne le conseguenze. Quanto valeva prima del Covid-19 vale anche oggi, anzi in misura maggiore, perché il debito pubblico schizzerà dal 135% al 155% del Pil.
Ciò di cui l’Italia avrebbe bisogno dall’Europa oggi sono i fondi a fondo perduto, cioè la stessa cosa di cui le imprese italiane hanno bisogno dall’Italia oggi e che il governo con il Decreto Rilancio ha concesso ai “soggetti esercenti attività d’impresa e di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA”.
I fondi a fondo perduto di cui oggi l’Italia ha bisogno potrebbero essere i Recovery Fund sui quali i Paesi dell’eurozona stanno discutendo ancora. Il piano franco-tedesco da 500 miliardi (quale fondo perduto finanziato da debito comune) incontra il favore di molti Paesi (tra cui anche l’Italia) ma si scontra con il deciso no degli Stati nordici (Austria, Paesi Bassi, Svezia e Danimarca) che ribadiscono: “la nostra posizione non cambia”. Come interpretare questa loro “posizione”? Forse si vuole che il piano franco-tedesco richieda un accesso condizionato? Che richieda, riportando le parole dell’AGI, “un impegno chiaro da parte degli Stati membri per l’applicazione di politiche economiche sane e un programma di riforme ambizioso”?
Sentendo le parole “programma di riforme ambizioso”, come non pensare a salari da ridurre e a pensioni da tagliare? L’Italia dovrebbe forse applicare il programma ambizioso di una riforma delle pensioni allungando ulteriormente l’età di pensionamento perché ancora una volta “l’Europa ci chiede”? Questa volta l’Italia dovrà rispondere con un secco e seccato “no”. No al Mes, no al Recovery Fund.
Gli italiani hanno versato all’Europa molto (dal 2000 al 2018 l’Italia è stata sempre tra i primi quattro Paesi nel contribuire al budget europeo versando sempre più di quanto abbia ricevuto) e l’Italia è stata dall’Europa anche molto aiutata, questo è vero, a cominciare con i Quantitative easing di Mario Draghi. C’è chi sostiene che se non ci fosse stato questo aiuto da parte della Bce di Draghi gli italiani si troverebbero oggi in una condizione peggiore. Forse sì. Ma forse anche no. Chi afferma il “sì” deve anche poterlo dimostrare con i fatti. Cosa che, ovviamente, non potrà riuscire a fare perché non si possono cambiare le condizioni del passato per verificarne le dirette conseguenze sul presente di oggi. Il dubbio dunque rimane.
L’ideale sarebbe poter rilanciare l’economia reale (lavoro, consumi e produzione) senza ricorrere ai prestiti, e quindi senza fare aumentare il debito. Se si ricorrerà a nuovi prestiti per rilanciare l’economia si farà aumentare il debito, che dovrà essere ridotto quando l’economia sarà ripartita. Ma, vedendo la storia del debito italiano, così non sarà: sarà come estinguere il fuoco (debito) annaffiandolo di benzina (prestiti).
E allora, da dove il governo potrà prendere i fondi di cui l’Italia ha bisogno senza ricorrere ai prestiti (esteri o italiani che siano), smarcandosi al tempo stesso anche dal continuo scacco dello spread? Ebbene, il Covid-19, che ha generato il problema, porta con sé anche la soluzione del problema che ha generato.
La soluzione che il Coronavirus suggerisce è di una semplicità disarmante: passare dall’esterno all’interno. Ovvero, passare dalla esternalizzazione (privatizzazione/estero) alla internalizzazione (nazionalizzazione/Italia), non solo in termini di partecipazione azionaria dello Stato nelle imprese (vedi il caso Alitalia), ma anche in termini di produzione (le mascherine che prima venivano importate dall’estero ora si producono in Italia). Tale strategia vale anche per i fondi: occorrerà reperirli non dall’esterno (Europa) ma dall’interno (Italia).
Ecco che il pensiero corre subito alla patrimoniale sui beni immobili o al prelievo forzoso dai conti correnti. Ma lo Stato sa che gli italiani già attingono ai loro risparmi per tirare avanti e per aiutare i parenti e gli amici in difficoltà. Lo Stato avrebbe ancora una carta da giocare: mettere sul tavolo il suo stesso Patrimonio, trasformandolo in moneta digitale di Stato, gestita dallo Stato, ancorata a fattori reali (immobili, terreni e lavoro), circolante solo in Italia e in parallelo con l’euro, per rilanciare l’Italia senza fare aumentare il debito.
Claudio Maria Perfetto