MILANO. “Quello di quest’anno è un passaggio importante, è una svolta. Ogni parola del presidente sarà un incentivo ad andare avanti per la democrazia. Parlare di mio marito Pino in un certo modo è anche un tassello per la democrazia. Non mi aspettavo che il sindaco Sala chiedesse perdono alla nostra famiglia, è stato un bel gesto, che ci restituisce qualcosa. Io non mi aspetto niente da nessuno, quello che arriva arriva, come è avvenuto in questi cinquant’anni. Su come è morto mio marito la verità noi la conosciamo, noi le cose le sappiamo, poi se qualcuno ha voglia di parlare, parlerà”, ha detto a Radio Popolare, nel 50esimo anniversario della strage di piazza Fontana, Licia Rognini, vedova di Giuseppe Pinelli. Quest’ultimo morì nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969, cadendo da una finestra della questura di Milano, dove era illegalmente trattenuto, scadute ormai le 48 ore di fermo di polizia, per accertamenti sull’esplosione di una bomba nella sede di piazza Fontana della Banca Nazionale dell’Agricoltura.
Milano ore 16 e 37 del 12 dicembre del 1969. Una bomba provoca 17 morti e oltre 80 feriti nella Banca nazionale dell’Agricoltura in piazza Fontana, dove erano in corso le contrattazioni del mercato agricolo e del bestiame. Sette processi si sono celebrati, oltre a tre inchieste, senza mai arrivare all’accertamento della responsabilità personale di esecutori, mandanti, e depistatori. Una vicenda giudiziaria che ebbe fine nel 2005, quando la Cassazione diede un’assoluzione generalizzata agli imputati dell’indagine, scaturita negli Anni Novanta dal lavoro sulle “Trame nere” dell’allora giudice istruttore Guido Salvini.
“L’identità della Repubblica è segnata dai morti e dai feriti della Banca Nazionale dell’Agricoltura. La strage di Piazza Fontana fu uno strappo lacerante recato alla pacifica vita di una comunità e di una Nazione, orgogliose di essersi lasciate alle spalle le mostruosità della guerra, gli orrori del regime fascista, prolungatisi fino alla repubblica di Salò, le difficoltà della ricostruzione morale e materiale del Paese. L’attività depistatoria di una parte di strutture dello Stato è stata doppiamente colpevole. Fu un cinico disegno, nutrito di collegamenti internazionali e reti eversive, mirante a destabilizzare la giovane democrazia italiana, a vent’anni dall’entrata in vigore della sua Costituzione. Disegno che venne sconfitto”, ha affermato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.