Che Cellino fosse considerato un presidente istrionico e mangiallenatori è un dettaglio a conoscenza di tutti. Ma che dopo la bellezza di ben 27 anni nel mondo del calcio non fosse in grado di capire quando sia il caso o meno di fare una battuta davanti ad un microfono, questo particolare era ignoto ai più, il sottoscritto compreso.
Vorrei partire da un’antefatto molto molto in là nel tempo: era venerdì 25 novembre del 2014 quando nel corso dell’assemblea straordinaria della Lega nazionale dilettanti Carlo Tavecchio, in quel periodo candidato alla presidenza della Figc, si esibì in una di quelle gaffe che rimarrà per sempre indelebili nella storia di questo sport. In riferimento alle rappresentative giovanili dei grandi club si Serie A, e alle differenze tra il sistema italiano e quello inglese, l’ex presidente affermò: “L’Inghilterra individua dei soggetti che entrano, se hanno professionalità per farli giocare, noi invece diciamo che ‘Opti Poba’ è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare nella Lazio e va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree“.
Una frase, come direbbe l’allenatore dell’Inter Antonio Conte, “agghiaccante“, sopratutto per il fatto che Tavecchio non si sia reso conto che parlando in questi termini dei giovani calciatori di origine straniera che giocano in Italia non si fa altro che fomentare fenomeni come l’odio e l’intolleranza. L’ex numero uno della Figc era letteralmente scivolato su una buccia di banana, oltretutto con l’aggravante di aver affermato che un giocatore straniero in Inghilterra deve dimostrare il suo “pedigree”, senza sapere che questo è un documento usato solo ed esclusivamente dagli animali, che ne riporta la genealogia. Anche se non fosse stato intenzionale il riferimento agli animali, dopo anni mi chiedo ancora cosa centri la genealogia con lo sport.
Ebbene dall’alto di questa esperienza vissuta in terza persona e dal recente episodio inerente i beceri cori razzisti riservati a Mario Balotelli, da parte di una quindicina di tifosi della Curva Sud veronese, nel corso del match tra Verona e Brescia, il presidente Cellino non è riuscito a comprendere che fare dell’ironia sul colore della pelle di “Supermario”, e più in generale su qualsiasi persona a prescindere dal fatto che si tratti di uno sportivo o meno, non rappresenti il miglior modo per contrastare la lotta al razzismo.
Eppure ho la sensazione che il patron bresciano sia stato vittima di uno strafalcione lessicale. Nel corso di un’intervista rilasciata al giornalista Antonio Vitiello per il sito Tuttomercatoweb.com, Cellino si esprime su Balotelli in questi termini: “È nero, sta lavorando per schiarirsi…”. Dopo aver sentito queste parole mi è venuta subito in mente un’altra caduta di stile storica, quella del 2009 ad opera dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che nel corso di un’intervista osò definire Barak Obama “Giovane, bello e abbronzato“. Ricordi che quanto meno dovrebbero servire a non ripetere gli stessi errori, mentre invece sembra siano caduti nel dimenticatoio.
Penso si sia trattato di un errore non pienamente voluto in quanto a mio modesto parare Cellino avrebbe voluto affermare che in questo momento l’attaccante bresciano è molto irritato (nero), e sta lavorando per schiarirsi le idee e per far sbollire l’arrabbiatura. Certo il ragionamento può sembrare ingarbugliato, ma non penso che volesse fare quel genere di ironia. Inoltre l’imprenditore sardo è famoso per aver scoperto ai tempi del Cagliari giocatori del calibro di Luis Oliveira, David Suazo, Dely Valdés, Jeda e Victor Ibarbo, solo per citarne alcuni, tutti diventati idoli indiscussi della tifoseria rossoblu. E se ben ricordo nessuno fu vittima di battute infelici con riferimento al colore della pelle da parte del presidente.
Nonostante la figura poco esaltante, il patron ha espresso un concetto che condivido appieno: “Nel calcio ci sono le squadre che combattono e puntano alla vittoria, un giocatore da solo non può vincere la partita. Se lo pensassimo offenderemmo la squadra (il Brescia) e più in generale il gioco del calcio“. È un concetto che per quanto sia stato espresso in maniera elementare si allinea con quello di un grande filosofo dello sport, oltre che giornalista e allenatore di pallavolo, ovvero Mauro Berruto, che nel suo ultimo articolo della rubrica “Senza rete”, pubblicato sul quotidiano “Avvenire“, dal titolo «Soli al comando», l’alternativa è possibile, spiega il significato dell’egoismo di gruppo: “È un momento magico, dunque non frequentissimo, in cui il desiderio del singolo si allinea a quello del collettivo. È un territorio meraviglioso in cui il proprio bene si riconosce e si riflette nel bene dell’intera organizzazione di cui si fa parte. Può succedere in una palestra, in una scuola, in un’impresa, in un ospedale, in una onlus e in qualunque altro luogo in cui gruppi di persone si percepiscono capaci di trasformarsi in squadre e di lavorare, fianco a fianco, per raggiungere un obiettivo comune. E se questo pare essere il momento di uomini soli al comando, è bello sapere che un modello alternativo esiste, eccome.“
Come diceva Nanni Moretti nel film Palombella rossa (1989) “Le parole sono importanti“. La speranza è che quelle di Berruto rimangano ben impresse nella testa di molti per essere ricordate e prese ad esempio, così come quelle impiegate nelle gaffe che abbiamo ricordato, con l’intento esattamente opposto, ossia quello di non essere mai più utilizzate.
Carlo Saccomando