Nasceva il 19 giugno 1926 l’editore italiano Giangiacomo Feltrinelli, soprannominato “Osvaldo”, tragicamente scomparso nel 1972 in circostanze misteriose. L’Unità del 17 marzo di quell’anno riportava un articolo che iniziava in questo modo: “L’uomo trovato dilaniato da una esplosione sotto un traliccio dell’alta tensione nelle campagne di Segrate presso Milano, è l’editore e industriale Gian Giacomo Feltrinelli. Il riconoscimento della salma è stato fatto stasera all’obitorio di Milano, alle ore 23,30, dalla ex moglie Inge Schoental, alla presenza del sostituto procuratore Pomarici, del capo dell’ufficio politico dalla questura Allegra e del maggiore dei carabinieri Rossi”.
Oltre a fondare la casa editrice che porta il suo cognome nel 1954, Feltrinelli partecipò da giovane alla Resistenza, e nel 1970, ai Gruppi d’Azione Partigiana, una delle prime organizzazioni armate di sinistra della stagione degli anni di piombo. Nel 1948, inoltre, si mobilitò per raccogliere materiali informativi sulla storia del movimento operaio, dando poi vita a uno dei più importanti istituti di ricerca sulla storia sociale, la Biblioteca Feltrinelli, in seguito Fondazione Feltrinelli, a Milano. La casa editrice Feltrinelli, invece, ebbe successo sin dall’inizio, da quando il primo libro edito fu l’autobiografia dell’allora Primo ministro indiano Jawaharlal Nehru, a cui seguirono in quel decennio bestseller come “Il dottor Živago” e “Il Gattopardo”.
Feltrinelli continuò la sua militanza nei gruppi di estrema sinistra, oltre all’attività di editore, ipotizzando un esercito internazionale del proletariato, composto da molteplici avanguardie strategiche rivoluzionarie. Durante il processo a seguito della sua morte, che si concluse con 11 condanne, sette assoluzioni, due prescrizioni, e nove amnistie, alcuni brigatisti lessero questo comunicato: “Osvaldo non è una vittima, ma un rivoluzionario caduto combattendo. Egli era impegnato in una operazione di sabotaggio di tralicci dell’alta tensione che doveva provocare un black-out in una vasta zona di Milano; al fine di garantire una migliore operatività a nuclei impegnati nell’attacco a diversi obiettivi. Inoltre il black-out avrebbe assicurato una moltiplicazione degli effetti delle iniziative di propaganda armata. Fu un errore tecnico da lui stesso commesso, e cioè la scelta e l’utilizzo di orologi di bassa affidabilità trasformati in timers, sottovalutando gli inconvenienti di sicurezza, a determinare l’incidente mortale e il conseguente fallimento di tutta l’operazione”.
Simona Cocola