L’Epifania è l’ultima ricorrenza delle festività del periodo che va dalla fine dell’anno, all’inizio di un nuovo anno. Infatti è nota e realistica l’espressione “Epifania, tutte le feste porta via”.
Quella che si celebra il 6 gennaio è una festa che ha valenza sia religiosa, che laica, aspetto quest’ultimo che negli ultimi anni, in Italia, ha preso il sopravvento sotto una evidente spinta consumistica.
A legittimare entrambi gli aspetti è il tema centrale dell’Epifania, che è rappresentato dal dono. Infatti la chiesa celebra i Re Magi (Baldassarre, Gaspare e Melchiorre), tre figure mitologiche, intriganti e generose, che portarono doni preziosi ed emblematici quali l’oro, l’incenso e la mirra al Bambino Gesù. Sono stati i primi regali, dopo quelli umili dei pastori, fatti al neonato di Betlemme.
Uguale compito viene affidato alla Befana, la vecchina dall’aspetto inquietante, che viene sempre raffigurata su una malandata quanto magica scopa, suo efficace mezzo di trasporto che le permette di arrivare tutte le case e portare regali ai bambini. Quelli buoni ottengono il dono preferito; quelli monelli ricevono invece la calza con il carbone. Questo vuole la tradizione.
Oltre alla dimensione personale, l’Epifania ha poi una evidente dimensione pubblica, sia religiosa con solenni celebrazioni nella basilica di San Pietro, nelle cattedrali e in tutte le chiese, che laica con manifestazioni di ogni tipo, in diversi casi anche folcloristiche e spettacolari.
Ne segnaliamo alcune tra quelle che vantano maggiori tradizioni.
A Milano un imponente corteo in costume accompagna tre figuranti, che impersonano i Magi, dalla basilica di Sant’Eustorgio al Duomo, dove l’arcivescovo presiede la Messa solenne alla presenza di un grande numero di fedeli.
In Alta Valtellina è diffusa una tradizione che prescrive, la mattina dell’Epifania, di salutarsi scherzosamente con il termine dialettale “Gabinàt” (o Ghibinet a Livigno). Probabilmente questa parola è una storpiatura del tedesco Gaben-nacht, “notte di doni”, a ricordo dei doni portati dai Magi.
In provincia di Treviso invece è diffusa l’usanza di accendere grandi fuochi nelle piazze dei paesi alla vigilia dell’Epifania (panevìn). A seconda della direzione delle scintille si indovina come sarà l’anno che sta cominciando: “Se’ e faive va al garbin, parecia ‘l caro pa’ ndar al muin. Se ‘e faive va a matina, ciol su ‘l sac e va a farina”, “Se le faville vanno a sud-ovest, prepara il carro per andare al mulino. Se le faville si dirigono a oriente, prendi il sacco e vai a cercare farina”). Tuttavia la spiegazione popolare cristiana che viene data riferisce che questi fuochi servirebbero per far luce ai Magi nel loro viaggio alla ricerca della grotta della Natività. Intorno al fuoco si beve vin brulè (ottenuto dal vino bollito con chiodi di garofano e cannella) e si mangiano dolci tipici tra cui la pinsa.
Un’altra leggenda lombarda, di origine varesina, vuole che durante il trasporto da Milano a Colonia i corpi dei Re Magi siano transitati da Busto Arsizio, attraverso il borgo di via Savigo. Qui i bustocchi dedicarono loro una porta, abbattuta nel 1880. Tutt’o, alla vigilia dell’Epifania, questi fatti sono ricordati a Busto Arsizio con una festa nel corso della quale viene acceso un falò nei pressi del borgo di via Savigo. Il giorno seguente prende il via un corteo in costume che commemora sia il viaggio dei Magi verso Betlemme che il trasferimento dei corpi a Colonia. Il fatto sta che nel 1162 l’imperatore Federico Barbarossa fece distruggere la chiesa di Sant’Eustorgio a Milano, dove erano state portate le salme dei Magi (alle quali era giunta, secondo la Tradizione, sant’Elena) e se ne impossessò. Nel 1164 l’arcicancelliere imperiale Rainaldo di Dassel, arcivescovo di Colonia, le sottrasse e passando in Lombardia, Piemonte, Borgogna, Renania, le traslò nella cattedrale della città tedesca, dove ancora tutt’ora sono conservate. Milano cercò ripetutamente di riavere le reliquie: il 3 gennaio del 1904, l’Arcivescovo Ferrari fece collocare in Sant’Eustorgio alcuni frammenti ossei in un’urna di bronzo con la scritta «Sepulcrum Trium Magorum».