ROMA. Verrà distribuito da oggi da Disney Italia in settecento sale italiane Dumbo, il tanto atteso remake del film del 1941. Tim Burton ha riscritto a modo suo il capolavoro Disney. Ma il regista lo ha fatto in modo rassicurante, quanto basta per divertire senza velature di romanticismo gotico, né inappropriata malinconia.
“È il remake di un classico straordinariamente forte e con protagonista un personaggio strano – ha detto Tim Burton –, uno che non è come gli altri, uno con un forte svantaggio, una sorta di freak che trasforma la sua diversità in vantaggio. E poi – aggiunge il regista che domani sera riceverà il David di Donatello alla carriera dalle mani di Roberto Benigni – c’è anche il tema della famiglia”. E conclude: “Dumbo è il personaggio che mi è più affine, il simbolo della figura dell’artista che fa fatica ad essere accettato”.
Del cast fanno parte Holt Farrier (Colin Farrell) ex star del circo appena tornato dalla guerra senza un braccio e che ritrova i due figli orfani, Milly (Nico Parker) e Joe (Finley Hobbins); il proprietario del circo Max Medici (interpretato da un Danny DeVito più fumetto di un fumetto) che assume appunto Holt e figli per occuparsi di Dumbo, elefantino neonato con delle orecchie sproporzionate che lo rendono lo zimbello del suo circo di serie b. Ma quando si scopre che Dumbo sa volare, lo spietato imprenditore V.A. Vandevere (Michael Keaton) e la bella trapezista Colette Marchant (Eva Green) cercano di trasformarlo in una star volante. E questo nello straordinario circo, Dreamland. Dumbo volerà sempre più in alto con Colette, ma insieme a loro monterà anche l’anima nera che c’è in ogni favola che si rispetti.
In quanto alla versione datata 1941, Burton non ricorda quando l’ha visto “anche perché i film Disney sono nell’infanzia come dei sogni strani vissuti fuori dal tempo”. Il suo rapporto complicato con la Disney (con cui ha iniziato a lavorare giovanissimo come cartoonist), non troppo in linea con certo spirito zuccheroso dell’azienda e a cui torna più volte – vedi il caso di “Alice in Wonderland” – viene sintetizzato così dal regista californiano: “La Disney è un po’ la mia famiglia. E si sa che, come capita a tutti, questa a volte si ama e a volte si odia”.