Ieri è stato un giorno speciale per Giovanni Trapattoni. Ha dovuto spegnere la bellezza di 80 candeline. Un’enormità. Non per uno che dello sport ha fatto la sua vita. Un modo di essere e di pensare. Per la prima volta il Trap ha festeggiato un compleanno tondo tondo senza il pallone. In effetti, se i 70 li aveva “onorati” sulla panchina dell’Irlanda, per nulla intenzionato a smettere, questo nuovo traguardo lo trova nell’inconsueto ruolo di spettatore. Ma così non era stato per i 50 e ancor prima per i 40, i 30 e i 20, sempre protagonista di storie incredibili tra match che parevano tenzoni di omerica memoria e battute che ti lasciavano a bocca aperta. Ha fatto la vita che sognava da ragazzino, restando ragazzino. Ha fatto la vita da ricco, restando umile. Ha vinto tutto senza perdere se stesso. Ha mischiato il calcio all’umanità, attraversando più di sessant’anni di calcio in giro per il mondo.
Nato a Cusano Milanino il 17 marzo 1939, Trapattoni è rimasto sulla breccia per oltre mezzo secolo: simpatico e dotato di spiccato buon senso, è stato prima un giocatore di successo, e poi un allenatore tra i più vincenti della storia del pallone, non solo quello made in Italy. Già, perchè la curiosità e il coraggio, e una modernità ante-litteram, lo hanno portato a superare i confini nazionali tante volte, anche quando non era più un ragazzo.
Nel mondo del pallone ha vinto tutto in Italia, dove ha il record degli scudetti conquistati, ben 7: con il Milan da giocatore, con la Juve e l’Inter da allenatore e c’è andato abbastanza vicino anche con la Fiorentina. Ha vinto in Germania col Bayern Monaco, in Portogallo con il Benfica e in Austria con il Salisburgo. S’è preso due Coppe dei Campioni con il Milan (la prima quella volta a Wembley, in the ‘63) da giocatore, una da allenatore con la Juve nella maledetta notte dell’Heysel, ha il record in Coppa Uefa (ora Europa League) con tre vittorie come Emery, e ha fatto il tris delle Coppe di un tempo compresa la Coppa delle Coppe. Ha allenato i più grandi calciatore degli ultimi 40 anni, da Platini a Boniek, da Altobelli a Tardelli, da Matthäus a Zenga, a Batistuta. E’ stato commissario tecnico dell’Italia e se non fosse stato per l’arbitro galeotto Byron Moreno nel 2002 in Corea sarebbe finita di sicuro in modo diverso.
I panni di tecnico li ha abbandonati nel 2013 e poi anche quelli di commentatore. Non però il calcio. Di recente si è gettato a capofitto sul digitale, aprendo un sito e dicendo la sua anche sui social. Una vita che, in oltre 60 anni sul verde del prato, ne ha viste di tutti i colori. Inconfondibile, colorito, istrionico. Rimane storica la conferenza stampa del 10 marzo 1998 quando in Germania la rabbia per la sconfitta della sua squadra si trasformò in uno show esilarante con il giocatore Strunz malcapitato protagonista. E sono ormai aforismi frasi del tipo ”Mai dire gatto se non ce l’hai nel sacco”. Tanto di diventare un libro. Sorridente e sornione come il suo sguardo di eterno ragazzino nato sotto il segno dei pesci. Per dirla alla Venditti che invece di anni quest’anno ne festeggia 70.