VENEZIA. La differenza tra “arte e propaganda? La prima pone domande, l’altra impone un’idea”. Ralph Rugoff, chiamato a firmare la 58. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale (11 maggio-24 novembre), che prende spunto e titolo da un falso anatema cinese sui “temi interessanti” diventato “vero” nelle citazioni di illustri politici, da Chamberlain a Kennedy, sgombera il campo sulle possibile letture di una mostra che ha ridotto gli artisti invitati, 79, e parla, forse per la prima volta almeno nei numeri, al femminile, con 43 donne e 38 uomini (compresi i due eventi collaterali). Due le artiste nate in Italia: Ludovica Carbotta (protagonista anche di un evento speciale a Forte Marghera) e Lara Favaretto.
Per Rugoff, “l’arte non esercita le sue forze nell’ambito della politica. Per esempio, l’arte non può fermare l’avanzata dei movimenti nazionalisti e dei governi autoritari, né può alleviare il destino dei profughi in tutto il pianeta” (circa l’uno per cento – dice – della popolazione mondiale), ma in modo indiretto “forse l’arte può offrire una guida che ci aiuti a vivere e pensare in questi ‘tempi interessanti'”. “May you live in interesting times” è la “provocazione”, come l’ha definita il presidente della Biennale Paolo Baratta, attorno a cui si svilupperà il percorso espositivo della mostra, dove gli stessi artisti, a creare di fatto due sezioni, presenteranno opere, tra loro anche contraddittorie o difficili da ricondurre allo stesso artista, tra il Padiglione Centrale ai Giardini e gli ampi spazi dell’Arsenale, in una visione che richiama la composizione musicale. E’ della musica unire motivi e strumenti diversi e così – nell’immagine offerta da Baratta – Il primo spazio diviene un “pianoforte”, il secondo carico di storia e di tensioni ideali un “violoncello”. Una Biennale senza un tema centrale, ma dove le opere e gli artisti, nel quadro di una ricerca di dialogo e confronto con il visitatore caro a tutte le ultime edizioni a “regia” Baratta, parleranno anche di migranti, di squilibri economici tra chi ha tanto e chi ha niente, di responsabilità individuali e collettive, di sessualità, di ricerca di nuovi spazi nel cosmo per il futuro dell’uomo, di realtà subatomiche e tanto altro. A fare sintesi, una mostra che offre spunti attorno alla funzione sociale dell’arte che include “sia il piacere che il pensiero critico.
La mostra si concentrerà sul lavoro di artisti che mettono in discussione le categorie di pensiero esistenti e ci aprono a una nuova lettura di oggetti e immagini, gesti e situazioni”. Baratta, richiamando il filo rosso che unisce le Biennali sotto la sua presidenza, la prima 20 anni fa, ha parlato di “critiche di breve respiro” in risposta a chi guarda solo al pubblico in dei giorni del vernissage o pensa al mercato, ha ricordato l’aumento dei visitatori – “il nostro principale partner” – con oltre il 50% sotto i 26 anni. “La nostra missione – ha spiegato – è semplice anche se non facile: offrire agli artisti un luogo di dialogo il più libero possibile e ai visitatori un intenso incontro con l’arte”. Una “palestra aperta” all’insegna del “dialogo” – parola che ricorre spesso negli interventi del presidente e del curatore – dove “si possono sentire ingaggiati in incontri con le opere e gli artisti, nello scoprire direttamente ‘l’altro da sé’ che l’opera d’arte offre”. E l’offerta è quanto mai ampia, sommando i 90 padiglioni nazionali – l’Italia con tre artisti: Enrico David, Liliana Moro e Chiara Fumai – agli eventi speciali e a quelli collaterali.