• 19 Dicembre 2024
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Come preparare in casa i pizzoccheri della Valtellina

Sono diversi secoli che i pizzoccheri “animano” le tavole della Valtellina, anche grazie alla farina di grano saraceno detta anche “furmentùn” o “farina negra”, molto rappresentativa della vallata lombarda. Nel corso dei secoli, in forza di una sua larga diffusione che ha durevolmente influenzato il costume alimentare di questo territorio, questo tipo di frumento ha assunto l’importante ruolo di prodotto storico, rappresentativo di un patrimonio di saperi culturali identitari.

Se nel resto dell’Italia la coltivazione di questa pianta è quasi scomparsa, in Valtellina, nonostante la drastica riduzione della produzione locale, continua a costituire un’attrattiva formidabile, in quanto la farina di grano saraceno è l’ingrediente basilare dei suoi piatti tipici, ormai famosi anche al di fuori dei confini valtellinesi: pizzoccheri, sciàt, polenta taragna e chisciöi.

L’origine dei pizzoccheri non è testimoniata da una data o un evento precisi, ma per certo si sa che già nel Settecento sulle tavole valtellinesi si consumavano i “perzockel”, una sorta di tagliatelle fatte di saraceno e di due uova. La pasta veniva cotta nell’acqua, poi si aggiungeva il burro e si spargeva subito il formaggio grattato. Nelle case contadine, e nei maggenghi, era più usuale produrre gnocchi con gli stessi ingredienti invece delle tagliatelle, poiché spesso non si disponeva di un tavolo dove fare la sfoglia.

Dai primi dell’Ottocento sulle tavole dei contadini più benestanti appare il piatto più simile a quello attualmente conosciuto: si lavoravano delle tagliatelle grossolane di grano saraceno con in parte della farina bianca in proporzioni variabili a seconda dei paesi, cotte in abbondante acqua salata, in cui erano poste patate, verze o coste o fagiolini a pezzi.

I pizzoccheri venivano poi scolati con il mestolo bucato (cazafuràda) e posti in una biella con strati di due tipi di formaggio a scaglie: uno più magro chiamato “fétai ed un semigrasso più stagionato. Il tutto veniva condito con una sferzata di strutto ben scuro accompagnato da aglio. In alcune zone anziché l’aglio si usava e si usa tuttora cipolla e salvia.

Sulle orme della tradizione in casa siamo certi che potrete da preparare, in inverno così come d’estate, questo piatto ricco e godurioso. Per scoprirne tutto il gusto autentico, seguite i passaggi e i suggerimenti che seguono.

Ingredienti (per 4 persone)

300 g patate
400 g verza
400 g farina di grano saraceno
300 g burro
200 g formaggio casera
120 g farina 00
6 spicchi di aglio
grana grattugiato q.b.

Preparazione

La prima cosa da fare è preparare gli ortaggi: pelate le patate e tagliatele a mezze rondelle; sfogliate la verza, eliminate il torsolo e dividete a metà le foglie, asportando la costa, quindi riducetele a strisce larghe 2 cm. Setacciate in una ciotola la farina 00 e quella di grano saraceno; versate 270 g di acqua, unite un pizzico di sale e cominciate a impastare. Trasferite l’impasto sulla spianatoia infarinata e lavoratelo brevemente con le mani per renderlo omogeneo e compatto.

Inoltre, mettete sul fuoco una capace pentola con 6 litri di acqua, salatela e, al bollore, versate le foglie di verza; cuocetele per 8’, aggiungete le patate e cuocete ancora per 8’ dalla ripresa del bollore. Stendete la pasta con il matterello fino a ottenere una sfoglia di 2 mm di spessore; tagliatela prima a strisce larghe 10 cm, poi riducete ogni striscia tagliandola in diagonale a striscioline larghe 1 cm. Pelate gli spicchi di aglio, tagliateli a metà e cuoceteli nel burro senza farlo colorire troppo. Riducete a dadini il formaggio casera. Tuffate i pizzoccheri nell’acqua dove cuociono verza e patate e cuoceteli per 10’. Scolate pizzoccheri, patate e verza con la schiumarola, disponeteli nel piatto e conditeli a strati con i dadini di formaggio, il burro senza aglio e abbondante grana grattugiato. Mescolate e servite subito.

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Piero Abrate

Giornalista professionista dal 1990, in passato ha lavorato per quasi 20 anni nelle redazioni di Stampa Sera e La Stampa, dirigendo successivamente un mensile nazionale di auto e il quotidiano locale Torino Sera. È stato docente di giornalismo all’Università popolare di Torino.

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