Il recente viaggio in Ungheria di papa Francesco deve far riflettere. Dico deve far riflettere perché di ogni azione del pontefice vanno cercate le cause e soprattutto le intenzioni, perché questo papa ci ha abituato a riflettere sulla sua attività. Ogni suo intervento ha giustificazioni che mettono in evidenza il suo desiderio di essere un vero pastore, un pastore cioè che ha scelto di collocarsi in posizioni diverse per essere di aiuto a chi ne ha bisogno.
Innanzitutto un aspetto di questo viaggio merita subito di essere sottolineato. Francesco ha scelto di tornare in Ungheria. Non si tratta infatti del primo viaggio in questo Paese. Questa scelta sottintende una serie di considerazioni.
La prima: papa Francesco in questo periodo soffre per la guerra tra Russia e Ucraina in quanto è convinto che di fatto siamo nel terzo conflitto mondiale. In questo contesto vorrebbe andare sia a Kiev che a Mosca per incontrare i responsabili di questi due stati e verificare con loro un eventuale percorso di pace, perché in diverse circostanze ha detto: “Nessuno è nemico per sempre”.
C’è anche di più: è convinto infatti che, per uscire da questa terribile situazione, sia necessario lo sforzo e l’impegno a tutti i livelli e che tutti debbano contribuire nella costruzione della pace. Per inciso papa Francesco interviene in questi contatti con quello spirito che è proprio del Concilio Vaticano II, lo spirito cioè di chi non ha un progetto da imporre ma un contributo da offrire.
In questo anno di guerra il Santo Padre non solo ha lavorato con discrezione evangelica, ma ha basato tutti i suoi interventi sulla chiarezza. Nulla è stato portato avanti con fini machiavellici. Ha sempre riconosciuto che c’è uno stato invasore, la Russia, e uno stato invaso, l’Ucraina. Nel contempo però ha anche rimarcato che la soluzione non può essere che la conseguenza di un negoziato. Le armi non possono garantire la soluzione del problema. Di conseguenza non si è alleato con nessuno degli stati che hanno scelto di dare armi all’Ucraina e, bisogna dirlo dopo dodici mesi di guerra, la sua impostazione finisce per essere l’unica in grado di portare al tavolo della pace.
Fatte queste considerazioni puntuali, allora si possono trovare le giustificazioni per il suo secondo viaggio ravvicinato in Ungheria. Innanzitutto la prima considerazione ci viene dalla geografia: l’Ucraina è uno stato confinante con l’Ungheria e di conseguenza offre al pontefice l’occasione di far sentire “materialmente” la sua vicinanza agli abitanti di questa martoriata nazione, che sta subendo un’invasione ingiusta, quella della Russia. Sembra quasi che Francesco voglia dire: “Sono qui con voi per condividere le vostre sofferenze”.
C’è però un altro fatto non secondario da richiamare. L’interlocutore principale di Francesco nella sua visita pastorale in Ungheria è Orban, presidente del Consiglio dei Ministri ungherese che, con il suo governo, non solo ha dimostrato molta attenzione nei confronti dei profughi ucraini ed ha portato avanti concrete iniziative di solidarietà ed effettiva assistenza nei loro confronti, nel momento in cui, lasciata la patria, hanno varcato e tuttora varcano il confine, ma è anche il politico che ha saputo mantenere nel passato, e ancora oggi mantiene, contatti diretti con Putin e di conseguenza può svolgere un ruolo molto importante nell’impostazione di quei dialoghi di pace tanto auspicati da papa Francesco.
Orban quindi è un personaggio che merita l’attenzione del pontefice, che nei suoi messaggi non ha mancato di riconoscergli i suoi positivi atti compiuti nei confronti degli Ucraini. Incontrare il presidente del Consiglio magiaro significa per Francesco tentare di porre un importante tassello per costruire una solida rete per la pace , magari oggi ancora segreta, ma sicuramente voluta ed impostata dal Vaticano. Avere la possibilità di incontrare il premier ungherese offrirà a Francesco la possibilità di incontrare alcune personalità che, con ruoli e funzioni diversi, hanno qualificato agganci con Mosca e con le alte autorità religiose dell’Ortodossia moscovita. La scelta dell’Ungheria rappresenta quindi un’ulteriore ed importante mossa di Francesco per essere profeta e dunque costruttore di pace.
Esiste anche un altro aspetto del viaggio del papa in Ungheria che ritengo, con profonda convinzione, meriti di essere ricordato. Ricavo questo aspetto scorrendo il testo del discorso di Francesco pronunciato a Budapest nell’incontro con le autorità, con la società civile e con il corpo diplomatico venerdì 28 aprile 2023. In questo suo intervento – più lungo del solito – il vescovo di Roma, mentre esalta la bellezza di Budapest, considerata città di storia, città di ponti e città di santi, sceglie anche di proporla come modello ad un’Europa che ha sostanzialmente perso le caratteristiche che i suoi fondatori hanno voluto darle.
Ecco alcuni richiami tratti dalla sua allocuzione. Innanzitutto una similitudine. Budapest nasce dalla fusione di tre comunità per diventare “capitale dell’impero austro-ungarico” durante quel periodo di pace noto come “belle époque”. Sorge quindi in un periodo di pace anche se poi esplodono momenti di guerra ( qui il richiamo al 1956 e all’invasione sovietica è immediato). Ora però non solo vive in pace, ma sa accogliere profughi provenienti da stati, essendo “oggi una delle città europee con la maggiore percentuale di popolazione ebraica, centro di un paese che conosce il valore della libertà e che, dopo aver pagato un alto prezzo alle dittature, porta in sé la missione di custodire il tesoro della democrazia e il sogno della pace”.
E immediatamente a questo punto nasce un richiamo all’Europa. Il cammino che porta alla fusione, con le caratteristiche appena annunciate, ben si può collegare al cammino iniziale dell’Europa, che nasce proprio in un momento di pace per evitare il ripetersi dei drammi bellici vissuti nella seconda guerra mondiale. Al momento attuale, quello spirito che nella Budapest del XXI secolo è ancora vivo, sembra in Europa essere scomparso. Al suo posto, dice papa Francesco, “si fanno spazio i solisti della guerra” […] “si è disgregato l’entusiasmo di edificare una comunità delle nazioni pacifica e stabile, mentre si marcano le zone, si segnano le differenze, tornano a ruggire i nazionalismi e si esasperano toni e giudizi nei confronti degli altri”.
In questi momenti invece il ruolo di una Europa unita è fondamentale.
Allora ecco un suggerimento: l’Europa, prendendo spunto anche dall’esperienza di Budapest, deve ritrovare la sua anima che è carica di valori da porre alla base di un’azione comune.
La capitale ungherese offre però un secondo spunto di riflessione: è diventata autorevole riferimento della nazione ungherese, collegando le sue tre città con una serie di ponti. È la città dei ponti, di quei ponti che servono ad unire a garantire il contatto Come il visitatore può ben notare, le venti circoscrizioni, grazie ai ponti, sono collegate. La visione che si ha è dunque unitaria e nessuna parte è subordinata ad altre.
Guardando oggi l’Europa si ha la netta sensazione che alcune parti corrono il rischio di essere “ostaggi delle altre”, diventando preda di populismo autoreferenziale. È necessario invece superare questo stato di cose, costruendo un’Europa “centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive centrate sulla natalità e la famiglia”. A questo proposito Francesco cita il “ponte delle catene” di Budapest perché questa costruzione aiuta ad immaginare un’Europa simile, “formata da tanti grandi anelli diversi, che trovano la propria saldezza nel formare insieme solidi legami…”.
L’Ungheria può fare da portiere, avvalendosi del suo specifico carattere ecumenico: quindi diverse confessioni che convivono senza antagonismi, collaborando rispettosamente con spirito costruttivo.
L’Europa deve nella sostanza ritrovare quella volontà costruttiva che ha spinto i suoi fondatori – Schuman, Adenauer e De Gasperi – a lavorare per realizzare una comunità che, condividendo i valori più importanti, sia in grado di essere protagonista a livello mondiale per costruire la pace. Tutte queste considerazioni possono ben essere giustificazioni di un ritorno in Ungheria del pontefice appena un anno e mezzo dopo la sua precedente missione apostoli
Prof. Franco Peretti
Cultore di storia della Chiesa