L’aumento delle temperature degli oceani negli ultimi ottant’anni ha ridotto drasticamente la pesca sostenibile. E’ quanto emerso da uno studio apparso sulla rivista statunitense Science, che ha esaminato dal 1930 al 2010 i cambiamenti in 235 specie di pesci e molluschi, sparsi in 38 regioni oceaniche. In media, le temperature oceaniche di superficie sono aumentate di circa mezzo grado in quel periodo, anche se le variazioni di temperatura cambiano da zona a zona. La conseguenza sarà che il pesce diventerà sempre più difficile da trovare, in maniera proporzionale all’aumento delle temperature marine. In questo range temporale lo studio ha rivelato che non è più possibile effettuare la “pesca sostenibile” di circa 124 specie di pesci e molluschi; per pesca sostenibile si intende la quantità che può essere raccolta senza fare danni a lungo termine alle popolazioni marine, con una media globale del 4,1%.
Inoltre i ricercatori affermano che la pesca intensiva abbia aggravato il processo di declino e in alcune parti del mondo, come il Mare del Giappone, a causa di questo fenomeno, la diminuzione delle catture sostenibili raggiunge solamente il 35% della popolazione ittica.
Circa l’8% delle specie di pesci e molluschi studiati hanno subito perdite a causa del riscaldamento degli oceani, mentre nello stesso periodo il 4% circa è aumentato. Questo perché alcune specie, come il branzino nero che vive lungo la costa nord orientale degli Stati Uniti, ha prosperato in acque più calde. Ma con il passare del tempo è probabile che gli effetti positivi svaniscano, poiché anche questi pesci supereranno la loro soglia massima di resistenza al calore.
Attualmente circa 3,2 miliardi di persone in tutto il mondo fanno affidamento sui frutti di mare come fonte di proteine, i risultati evidenziano l’urgente necessità di prendere provvedimenti a livello globale per sensibilizzare professionisti nel settore ittico e indirizzarli verso un modo di fare pesca in maniera ecosostenibile.