A più riprese in queste settimane sia il presidente del Consiglio, Mario Draghi, sia il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, prendendo posizione nelle sedi istituzionali più significative – Governo e Parlamento – hanno usato un’espressione che in diversi ambienti culturali è sembrata persino eccessiva. La frase ‘incriminata’ è questa: “La scuola è elemento fondamentale per il mantenimento della democrazia”.
È vero, se da un lato questa proposizione è sembrata esagerata, da un altro però è passata inosservata, considerata quasi banale. Si tratta invece di un concetto non nuovo, molto importante che ha una sua storia e trova le sue radici proprio nel dibattito dell’Assemblea Costituente e sta alla base della corretta interpretazione della Carta Costituzionale della Repubblica Italiana.
Per aiutare a capire il suo significato dobbiamo fare qualche riferimento ai primi due decenni della vita repubblicana. In questo periodo si può trovare la sua giustificazione anche storica. Nel tempo infatti che va dal 1948 alla prima metà degli anni Sessanta, tre momenti segnano lo sviluppo di questa idea: l’indagine sulla scuola condotta nel 1948-1949, il tentativo di riforma del ministro Gonella ed il piano decennale. Dopo aver fatto qualche richiamo ai tre momenti farò qualche considerazione e valutazione storico-politica.
Appena nominato ministro, nel 1947, Guido Gonella desidera sentire l’orientamento degli operatori scolastici al fine di costruire delle proposte operative. Per questo motivo predispone e fa distribuire un questionario-inchiesta, per la cui compilazione sono necessari diversi mesi (dal gennaio 1948 alla primavera 1949).
Va sottolineato che sicuramente il modo di procedere è da condividere e rappresenta una novità: prima di adottare dei provvedimenti è molto utile ascoltare il pensiero di chi quotidianamente lavora nel mondo della scuola.
Da un punto di vista della risposta all’iniziativa parlano i numeri: ben 200.000 docenti rispondono e quasi 80.000 soggetti, impegnati a vario titolo nella scuola, forniscono loro valutazioni. Il materiale che si ottiene è molto interessante, tenuto conto anche dell’elevato numero di partecipanti. Non mancano le critiche al ministro Gonella, il quale viene accusato in modo particolare dalla sinistra di aver impostato l’indagine e gli approfondimenti dall’angolo di visuale del mondo cattolico, finendo nella sostanza per favorire e privilegiare la scuola espressione di questa area.
Al di là però delle contestazioni, un dato è certo: dall’esame delle risposte all’inchiesta emerge con marcata evidenza che sostanzialmente gli intervistati credono nell’importanza del ruolo della scuola nella formazione del cittadino e vedono nella scuola un baluardo per la difesa della democrazia.
Forte dei risultati dell’indagine, rafforzato anche come ministro dall’alto numero di adesioni alla sua ricerca, nel 1949 decide di insediare una commissione ministeriale presieduta dal prof. Giovanni Calò, con l’obiettivo di predisporre una riforma della scuola che fino a questo momento ancora è organizzata in base ai principi voluti dal ministro fascista Giovanni Gentile. La commissione non ha l’onore di veder approvato il progetto. Non si va infatti oltre un disegno di legge approvato dal Governo il 28 giugno 1951.
Oggi possiamo dire che non è questo l’unico tentativo destinato al fallimento. Molti suoi successori nel dicastero tentano la presentazione di progetti di revisione. Identico è il risultato, ovviamente sempre negativo. Il disegno riformatore di Gonella incontra nell’opposizione di sinistra molti ostacoli, in quanto il titolare dell’Istruzione viene ancora una volta accusato di difendere gli interessi della scuola cattolica.
Al di là però delle critiche spesso strumentali e di parte, il testo di riforma di Gonella – documento nel complesso molto positivo – ha pure un merito specifico, quello di essere di ampio respiro, perché non si occupa solo di ordinamenti scolastici da modificare, ma affronta tematiche ben più ampie, prevedendo anche l’istituzione della scuola materna ed affrontando le tematiche relative all’istituzione della scuola media unica, con un’articolazione in tre rami.
A tutto questo si deve aggiungere l’istituzione di un sistema di educazione popolare, l’istituzione di un comparto per l’istruzione popolare, la regolamentazione della parità scolastica. La riforma prevede anche l’assunzione diretta da parte dello stato nella realizzazione degli edifici scolastici. Questo progetto ben articolato ed ampio non trova l’approvazione del Parlamento. Guardando oggi quegli anni e l’impegno di Gonella, vanno a lui comunque riconosciuti alcuni meriti .
Il primo è il più importante: con il suo lavoro il ministero dell’Istruzione acquista peso ed importanza nell’attività dell’ Esecutivo. Non a caso si registra a favore del dicastero dell’istruzione un aumento degli impegni di spesa.
In secondo luogo la riforma introduce una visione complessiva nuova che punta alla creazione di una scuola che possa contribuire alla formazione di una nuova mentalità sociale idonea a preparare non solo alcuni, ma tutti i cittadini alla gestione della vita sociale, eliminando le caste di potere che, grazie all’istruzione ricevuta, hanno il bagaglio culturale indispensabile per governare.
Un altro punto significativo: l’edificio scolastico deve avere le caratteristiche per contribuire a rendere efficace l’insegnamento.
Qualche anno dopo – e precisamente nel 1958 – Fanfani presidente del Consiglio interviene ancora nell’ambito dell’istruzione, proponendo un piano decennale della scuola, che ha un obiettivo molto importante. Questo progetto deve garantirne la ristrutturazione organizzativa, prevedendo anche la costruzione di nuovi edifici scolastici.
Alla base di questa impostazione vi sono due elementi che vanno tenuti in considerazione perché offrono spunti per giustificare questa impostazione. Il primo: Amintore Fanfani non è nuovo alla predisposizione di piani ad ampio respiro. Nella sua esperienza di ministro – come ministro del Lavoro, per essere precisi – ha già proposto un altro piano, quello della edilizia economico-popolare per offrire case per i lavoratori e i meno abbienti.
Da un punto di vista storico è opportuno ribadire che questa attività governativa, quella della realizzazione di case per i meno abbienti, voluta da Fanfani, ha sortito risultati molto positivi e ha registrato la realizzazione di molti alloggi per le classi più deboli del territorio nazionale. Non è un caso se ancora oggi si parla di case Fanfani per ricordare questo efficace intervento del governo.
Ma se tutto questo rappresenta un ragguardevole intervento che sta a monte del piano decennale della scuola, è necessario tenere presente – e questo è il secondo elemento – che il piano decennale della scuola non ha la stessa fortuna. Merita però di essere ricordato per un altro aspetto. Rappresenta l’anticipazione metodologica di quella che sarà l’azione dei governi immediatamente successivi. In parole semplici si può rilevare che in questi anni – siamo alla fine degli anni Cinquanta del Novecento – le dottrine economiche incominciano a parlare, grazie anche ad economisti come Saraceno, di attività di programmazione con progetti ad ampio respiro e le precitate dottrine individuano nel decennio il lasso di tempo indispensabile per la realizzazione di un piano idoneo a produrre effetti in grado di incidere sull’economia di un territorio.
Il piano decennale della scuola di Fanfani, che ha proprio queste caratteristiche, è da annoverare tra i primi strumenti di programmazione. Prevede tra l’altro il finanziamento necessario per la sua attuazione. Si parla di 1364 miliardi da impiegare nei dieci anni. Somma veramente notevole per questi tempi (non si dimentichi che siamo alla fine degli anni Cinquanta del Novecento).
Anche in questa stagione politica però il documento non ha molta fortuna. Trova ostacoli ed opposizioni nella sinistra che, per frenare l’intervento, sostiene che sia più importante, e quindi deve venire prima, la riforma della scuola media inferiore. Argomento quest’ultimo certamente fondamentale per offrire un concreto contributo per alzare l’obbligo scolastico a quattordici anni.
Esaminata oggi la situazione che si crea all’inizio degli anni Sessanta del XIX secolo si può obiettivamente affermare che le polemiche politiche delle forze di sinistra non hanno nessun fondamento, servono solo ad ostacolare l’approvazione parlamentare e di conseguenza a vanificare almeno in parte gli scopi che il provvedimento si prefigge. Il così detto piano decennale viene bloccato, sono stralciare alcune parti, che formeranno il piano-stralcio triennale. Il titolo della legge di approvazione farà comunque salve le apparenze, richiamandosi ad una generica alla programmazione scolastica. Del resto stanno però maturando i tempi per parlare di programmazione economico-sociale.
Alla luce di questi primi tentativi però pochi mesi dopo viene istituito un ministero ad hoc, quello della programmazione economica con il compito di coordinare i piani dei singoli dicasteri. Per la riflessione che stiamo facendo sulla scuola intesa come fondamento della democrazia quanto appena citato dimostra l’impegno del governo per la istituzione scolastica e mette in evidenza l‘importanza che il Parlamento e l’Esecutivo danno all’istruzione.
Dai tre argomenti citati, il questionario indagine Gonella, la riforma della scuola e il piano decennale, si può ricavare l’importanza che viene data dall’inizio della Repubblica alla scuola, che indubbiamente è considerata istituzione fondamentale per garantire la democrazia.
Se da un lato infatti nei primi due decenni della Repubblica, alto e denso di aspetti culturali è il dibattito sulla scuola, anche se i dibattiti, e di conseguenza i progetti che vengono costruiti, non trovano però subito, da un punto di vista complessivo, un’effettiva realizzazione. Sul piano del contributo della scuola a rafforzare la democrazia, sicuramente va registrato un dato importante, che abbiamo anche anticipato in un paragrafo precedente: in questi anni matura e viene attuata la riforma che introduce la scuola media unificata.
Si tratta di una grande conquista sociale che, elevando l’obbligo scolastico al quattordicesimo anno, offre agli adolescenti la possibilità di ulteriori contributi alla loro formazione. Come ben si può vedere, si tratta di un intervento utile a contribuire all’ eliminazione delle discriminazioni che all’inizio degli anni sessanta hanno ancora un peso molto consistente.
Mi sembra utile inoltre fare qualche altra sottolineatura da un punto di vista politico, anche per mettere in luce la capacità di dialogo dei responsabili delle forze politiche presenti in Parlamento. Tutti i partiti presenti in Parlamento in questi anni, partecipando vivamente al dibattito sulla scuola, maturano una convinzione, anzi maturano quella convinzione nella quale anche oggi Draghi e Bianchi, a nome dell’attuale governo, dichiarano di credere: la scuola è il pilastro sul quale si costruisce la democrazia.
Con un’aggiunta importante: la scuola serve a mantenere alti i valori della democrazia. La lettura dei documenti ufficiali, pubblicati in questo periodo, dei partiti più consistenti da un punto di vista numerico, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista Italiano, su questo principio fondamentale coincidono. Per ironia della sorte troviamo invece all’interno dei due partiti qualche voce dissenziente. Nella DC dissentono i cattolici più rigidi, da un punto vista dei principi, perché accusano la classe dirigente di aver ceduto alla sinistra e ai laici e di non aver difeso fino in fondo le scuole cattoliche. Nel PCI invece gli estremisti considerano la segreteria troppo attenta al dialogo con i cattolici e di conseguenza meno determinata nella lotta di classe.
Per chiudere questo richiamo storico, che nella sostanza vuole servire a scoprire le radici di un principio al quale fanno riferimento anche il Presidente del Consiglio e il Ministro dell’Istruzione nell’impostare l’azione di governo, vale a dire che la scuola è fondamento della democrazia, possiamo fare due ultime considerazioni.
La prima: nei due decenni dopo l’approvazione della Costituzione, anche se modesti, sono i risultati istituzionali – come si è accennato infatti la riforma Gentile del 1922 sopravvive alla morte del fascismo – consistenti invece finiscono per essere gli impegni di spesa inseriti nel bilancio dello Stato e di conseguenza l’istruzione non è la cenerentola da un punto di vista economico. La seconda: in questo periodo si pongono le basi della cultura della riforma della scuola. Questo però è argomento di una prossima riflessione.
Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative