Il Pd punta ad almeno un milione di persone al voto ai
gazebo nelle primarie per scegliere il nuovo leader, dopo la stagione di
Renzi e la reggenza di Martina. Zingaretti, Giachetti e lo stesso
Martina sono in corsa, divisi sulle alleanze a sinistra e sul rapporto
col M5s. Eletto direttamente solo chi supera il 50% dei voti, altrimenti
lo Statuto prevede l’elezione da parte dell’Assemblea nazionale.
Nicola
Zingaretti e Maurizio Martina, insieme dietro lo striscione del Pd alla
manifestazione di Milano contro il razzismo, ha fotografato
plasticamente la campagna delle primarie di domenica: niente colpi
bassi, fair play, fino all’accusa di una campagna noiosa per mancanza di
liti. Anche Roberto Giachetti, che aveva minacciato di “togliere il
disturbo” in caso di accordo con M5s e di ritorno di D’Alema e Bersani,
ha oggi ribadito di non volersene andare in caso di sconfitta. A queste
primarie guardano anche tutti gli altri partiti del centrosinistra
perché il tema delle possibili alleanze dovrà essere affrontato sin
dalle europee di fine maggio, la prima questione con cui il nuovo
segretario dovrà confrontarsi, a partire dalla proposta di Carlo Calenda
di un listone di tutti gli europeisti. Su cui non c’e’ una visione
condivisa tra i candidati e che registra le perplessità di Zingaretti.
Di buon mattino Matteo Renzi ha fatto gli “auguri” ai tre candidati: “Mi
fa piacere che tutti e tre abbiano escluso accordi coi Cinque Stelle e
ritorni al passato. Chiunque vinca non dovrà temere da parte mia alcuna
guerriglia come quella che io ho subito”.
Stessa promessa da
Roberto Giachetti, che con Anna Ascani e la loro mozione rivendicano
l’impianto riformista del Pd di Renzi e dei governi a guida Dem. “Non ho
mai detto che se non vinco me ne vado”. Anzi, Giachetti ha ricordato di
essere spesso “stato in minoranza nel Pd” e di aver rispettato le
decisioni prese a maggioranza, compreso il suo voto contrario alla sua
legge sulla depenalizzazione delle droghe, perché così aveva deciso la
maggioranza: “io sono fatto di un’altra pasta”. La presenza a Milano
alla grande manifestazione contro il razzismo, di Zingaretti e Martina,
fa capire quale sia il tema che riguarderà il futuro segretario:
l’apertura del Partito a quanto si muove nella società per costruire un
nuovo centrosinistra: “Pensiamo all’Italia. Pensiamo prima di tutto al
bisogno che c’è di costruire un’alternativa forte, sociale, popolare a
questo governo pericoloso che ci sta facendo fare clamorosi passi
indietro. Serve una nuova stagione dei democratici, serve un nuovo Pd
unito, aperto, plurale. Io mi candido per questo”, sottolinea Martina.
L’alleanza – seconmdo Martina -va quindi fatta non tanto con le sigle
esistenti, ma con le nuove soggettività sociali. Di qui il sì convinto
alla proposta di Calenda di lista unica, cercando di coinvolgere i
movimenti civici più che le sigle a sinistra del Pd.
Stesso
ragionamento quello di Zingaretti: “Oggi una piazza immensa e
meravigliosa: solo quando metti prima le persone l’Italia è davvero più
forte e più giusta. Questa è la nostra battaglia. Da qui va ricostruita
la sinistra: tra le persone e non con le figurine e gli schemi dei
politici”. Zingaretti ha ribadito che in caso di sua vittoria non
intende “guardare indietro” per rifare i Ds, come molti della mozione
Giachetti lo accusano. “Quando la polarizzazione sarà tra un campo
democratico e la risorgente destra illiberale, xenofoba e razzista,
tante forze moderate, sinceramente liberali e anche nobilmente
conservatrici dialogheranno con un Pd aperto, unitario e capace di
andarsi a riprendere il suo popolo”. Più cautela sulla lista unico di
Calenda, alla luce del “no” di Verdi, Pizzarotti e +Europa, e alla luce
del fatto che alcuni eurodeputati uscenti sono andati con Mdp ma sono
comunque nel gruppo degli eurosocialisti. E’ giusto non dialogare con
loro? Martina sente di poter essere il candidato giusto per garantire
l’unità del Pd: “mi sono candidato per salvare il PD e per rispondere
alla domanda di unità che la nostra gente giustamente chiede a grande
voce”. La parola ora ai militanti, con l’obiettivo che uno dei tre
superi la soglia del 51% dei voti, per evitare l’incubo di rinviare
l’elezione del segretario alla roulette dell”Assemblea nazionale del 17
marzo.