L’affidabilità “fin troppo facile” dei bambini. Ad intervenire sulla questione Marco Mazzucconi, oggi uomo di 51 anni e ieri bambino seguito dagli assistenti sociali a cui le istituzioni però non hanno mai negato la sua famiglia d’origine
Famiglie spezzate, drammi familiari ritenuti insanabili, vite e anime violate. Quando si parla di situazioni familiari al limite, di figli in difficoltà nelle proprie famiglie, di minori allontanati dal proprio nucleo d’origine, di affidi e protocolli di adottabilità e di bambini inseriti nelle comunità di accoglienza bisogna sempre fare un passo indietro.
Risulta sempre necessario allontanare così “facilmente e velocemente” un bambino dai propri genitori naturali? Ne abbiamo parlato a lungo con Marco, oggi uomo di 51 anni e ieri bambino seguito dagli assistenti sociali ed affidato alle case famiglia a cui però le istituzioni non hanno mai negato la sua famiglia d’origine.
Questa è la sua storia. Una storia personale che va all’incontrario rispetto a ciò che purtroppo oggi tanti bambini e tante famiglie in difficoltà devono subire ed affrontare.
Marco Mazzucconi oggi ha 51 anni e vive in Campania con la moglie ed il figlio. Ma una volta abitava in Lombardia, in una famiglia poverissima con alle spalle numerose difficoltà e problematiche.
Il piccolo Marco sin dai tempi dell’asilo si sfogava con atteggiamenti violenti emulando quello che riceveva all’interno delle mura domestiche. Ed è lo stesso a ricordarsi come “una furia”, un bambino “che faceva il matto” e a rammentare vividamente di esser stato maltrattato in famiglia. “Fatti sconvolgenti, ma veri, hanno segnato la mia esistenza da piccolo, la mia infanzia per dieci anni è stata caratterizzata da violenze perpetrate da mia mamma che hanno lasciato un segno indelebile sul mio corpo e nel mio cuore”, racconta Marco.
All’epoca, dopo che la scuola segnalò il caso, fu seguito per circa 10 anni da un assistente sociale di Rozzano in provincia di Milano, la dottoressa Giovanna Chierici. “Sono stato un bambino adottato. E anche io ho avuto a che fare con le assistenti sociali. Mi ricordo come operava su di me la dottoressa Chierici: mi lasciava sfogare e dopo apriva le braccia, mi accarezzava e mi calmava. Una persona eccezionale che nel suo lavoro usava amore e servizio per il prossimo. So di aver incontrato sul mio cammino la fata turchina capace di salvare l’anima e la persona di un bambino indifeso quale ero io”.
Il 51enne ricorda che nella sua travagliata storia familiare, dopo che il suo caso fu affidato all’assistenza sociale, non c’è mai stato un vero e proprio strappo dalla sua famiglia d’origine. Solo nell’ultimissimo periodo, quando all’epoca aveva 10 anni e la madre aveva compiuto un ultimo e drammatico maltrattamento c’è stato un vero e proprio allontanamento. Allora l’assistenza sociale sancì il suo ingresso in una casa famiglia, e poco dopo per lui si aprirono le porte dell’adozione.
Un decreto del Tribunale stabilì all’epoca che era meglio per lui non vedere i genitori naturali ma, sottolinea Marco, “se io avessi avuto la necessità di farlo avrei potuto. L’assistente sociale non si è mai opposta anzi mi diceva: se vuoi tornare dalla tua mamma puoi farlo. L’interesse principale è sempre stato quello non di allontanarmi per forza dai miei genitori ma di aiutare, fino a quando si poteva, la mia famiglia d’origine ed il mio legame con essa”.
All’età di diciotto anni, raggiunta la maggiore età, il giovane chiese ai genitori adottivi di poter rivedere i suoi veri genitori. “Il desiderio di confronto, il desiderio di fare domande alle quali avevo già le risposte era tanto, ma dovevo incontrare le persone che non mi avevano voluto come figlio, dovevo avere di fronte la mia mamma e domandare. La dottoressa Chierici mi accompagnò a quell’incontro, mi lasciò solo con la mia famiglia naturale, ebbi il mio confronto, ricevetti le risposte che già avevo nel mio cuore nella mia mente. Nessun falso ricordo.Tutto quello che ricordavo era vero!” ricorda Marco.
“Nella mia testolina avevo ed ho la mia infanzia, le botte, le violenze, la mancanza di comprensione di una mamma malata, la voglia di una nuova vita e tanti altri ricordi che dovevano avere conferme”, spiega Marco.
E proprio perché aveva bisogno di un confronto su tutto ciò che gli è successo, dopo 42 anni ha rincontrato la sua assistente sociale che lo aveva in gestione all’epoca, la dottoressa Chierici. Oggi lei ha 82 anni e abita in Lombardia.
“È stata una gioia risentirla. Mi ero messo alla ricerca più volte nei miei anni dopo l’adozione, ma poi avevo desistito. Ma dopo tutto quello che sono venuto a conoscenza avevo bisogno di qualcuno che mi desse una versione diversa, soprattutto dopo i fatti raccontati da Veleno e Bibbiano” (n.d.r. il libro di Pablo Trincia da cui hanno tratto anche una docu-serie disponibile su Amazon Prime Video dal titolo “Veleno” che tratta il caso de “I diavoli della Bassa Modenese” e il noto caso del Comune di Bibbiano dell’inchiesta Angeli e Demoni sugli affidi illeciti).
“Avevo bisogno di conferme a domande e mi sono potuto confrontare con lei su alcune cose. E la prima risposta che ho voluto da lei era sulle modalità di lavoro e approccio nei miei confronti” racconta.
Marco insiste molto nello spiegarci, da bambino con problematiche in famiglia quale è stato, il trattamento che secondo lui gli assistenti sociali devono ottemperare in questi casi.
“Il metodo principale che deve essere corrisposto verso un bambino in difficoltà è sempre quello dell’amore, del rispetto per la vita umana e del mettersi al servizio del prossimo. Come si è sempre posta la dottoressa Chierici nei miei confronti: una persona che dava fiducia, che ha fatto crescere nel mio cuore di bambino la sicurezza, ma soprattutto la ricerca dell’unica verità. Senza avere manie di protagonismo o forme egoistiche e narcisistiche di voglia di supremazia verso tutto e verso tutti”.
Il racconto di Marco si discosta molto da quello che viene raccontato molto spesso sulle cronache e recentemente anche nelle vicende narrate nel libro “Veleno“. Secondo lui c’è troppa facilità nell’allontanare i bambini dalle proprie famiglie d’origine e troppo poca nell’aiutare la famiglia in difficoltà nella gestione dei figli.
Ciò che sostiene Marco, che ha vissuto in prima persona la condizione di bambino affidato alle cure degli assistenti sociali, è il fatto che in questo ambiente c’è una situazione incresciosa e terribile. Molto spesso negata. Nascosta.
“Da quando sono venuto a conoscenza dei fatti che accadono in Italia riguardanti i bambini che vengono tolti alle famiglie dentro di me si è risvegliato un ricordo che avevo accantonato nel mio cuore. Alla base di tutto quello che sta succedendo non c’è lo step iniziale che è il servizio per il prossimo e l’amore. Manca il rispetto per la persona, ora c’è solo un interesse finanziario e monetario. C’è un business dietro a tutto questo ed è talmente grosso da diventare pericoloso e spaventoso” polemizza.
Le cronache infatti sono zeppe di storie di bambini “fin troppo spesso” allontanati dai loro genitori. E molto spesso sono stati segnalati casi in cui interessi esterni, molto spesso economici, sono la motrice di queste “scelte così repentine”. Quando infatti l’assistenza sociale segnala il caso di un bambino abusato o maltrattato, quest’ultimo viene letteralmente “tolto” dalla famiglia d’origine ed è lo Stato a farsene carico. Sia dal punto di vista assistenziale che economico.
C’è da sottolineare anche che ogni bambino in una casa di accoglienza costa allo Stato un alto corrispettivo giornaliero. Portare via un bambino alla famiglia potrebbe quindi significare anche un investimento lucrativo nei confronti delle case famiglia. Ma se questi soldi venissero investiti per aiutare la famiglia, su un loro percorso riabilitativo di genitorialità anziché venir spesi per allontanare il bambino e collocarlo in una casa famiglia?
Oggi Marco ha un’associazione, “Il mondo alla rovescia”, che si occupa di bambini malati. La sua esperienza da “minore adottato” l’ha reso molto sensibile a questa tematica ed in prima persona ha raccolto numerose testimonianze di genitori anch’essi allontanati frettolosamente dai loro figli e a cui vorrebbe dare voce.
“Raccontare la mia storia voglio che serva per smontare alcune cose. Ciò che vedo attualmente è tutto il contrario di quello che mi è successo a me. Voglio che la tutela dei bambini sia corretta: io avevo a che fare con una persona che mi aiutava e trovava il meglio per me non che mi faceva il danno. C’è bisogno di mettersi al servizio del bambino: ma questo viene realmente fatto o invece si dà più valore ad un sistema che vuole fare solo soldi?”. Questa è la domanda che tormenta il protagonista della nostra storia, e probabilmente non è l’unico a porsela.
Rossella Carluccio
Sono Lorena Morselli, una delle mamme coinvolte nella vicenda : Bassa modenese di cui se ne parla in varie opere letterarie, nonché nel docufilm: veleno
Marco mi ha contattata, avendo visionato il docufilm, mi ha raccontato la sua storia di reali violenze, non il frutto della fantasia di bambini che parlano di uccisioni di altri bambini. Mesi e mesi di colloqui con le psicologhe e anche le vicende legate al centro Hansel e Gretel di Claudio Foti, ora a processo nella vicenda di Bibbiano.
Hanno ritirato i miei figli sulle sole parole di una bimba di 8 anni molto disturbata psicologicamente. Non eravamo indagati !!
Poi il resto potete trovarlo su internet
Grazie per questo bell’articolo
Continuate ad aiutarci a fare luce su un flagello che distrugge famiglie e rovina bambini
Grazie
Lorena Morselli
Sono quella che Marco definisce Fata turchina. Devo precisare che sono una psicologa e che al tempo ero responsabile del Servizi psicosociale della USSL del territorio dove abitava la famiglia di Marco. Ci siamo trovati ad operare in una cittadina costituita da enorme quartiere di case popolari senza alcun servizio. Grazie a una legge della Regione Lombardia che aveva istituto un quinto servizi all’interno della riforma sanitaria( ecco perché in Lombardia erano unità socio sanitarie) che prevedeva le deleghe all’USSL dei piccoll comuni per quanto riguardava i minori. Abbiamo così creato un servizio dal nulla confrontandoci con esperienze allora in atto in alcuni paesi europei. Nell’ente operavano diverse figure professionali e le impossibili situazioni che ci venivano segnalate erano attentamente valutate per decidere chi e come doveva prendere i primi contatti, poi via via si pianificavano gli interventi più opportuni.
Allontanare un bambino dalla sua famiglia non è mai stata una decisione facile da prendere. Purtroppo ci sono situazioni in cui è impossibile modificare un contesto familiare e così è stato per Marco.