Terza parte dell’approfondimento intitolato “Scuola, il diritto all’istruzione: dalle norme di Giolitti alla riforma di Gentile“
Dopo la caduta del fascismo (25 luglio 1943) viene ripreso con spirito nuovo, legato ai valori portati avanti dalla Resistenza, il dibattito sul diritto all’istruzione del cittadino e sul dovere dello Stato di garantire l’esercizio di questo diritto. Sostanzialmente gli argomenti, oggetto di discussione, possono essere riassunti in questi termini: ritorno a scuola, estensione dell’obbligo scolastico, rafforzamento delle scuole professionali.
Le questioni però dell’Italia post-fascista erano molto più gravi e di una portata ben più grande, tanto da impedire ai ministri dell’istruzione, che nel periodo dal 1943 al 1946 si sono succeduti (Omodeo, De Ruggero, Ruini, ArangioRuiz, Molè) di avere la possibilità di non andare oltre l’enunciazione dei titoli dei precitati dei precitati argomenti. È anche però opportuno sottolineare che, all’interno dei partiti, il dibattito sul diritto all’istruzione viene comunque portato avanti.
La Democrazia Cristiana, che in questo periodo sente molto l’influenza della gerarchia ecclesiastica, nelle sue prese di posizione ufficiali, sottolinea sempre, nell’enunciare le sue linee politiche in materia di scuole ed educazione, l’importanza della centralità della persona, centralità che deve essere garantita in via prioritaria nel processo educativo. Non solo. Lo Stato non è l’unico soggetto che ha il compito di gestire l’attività formativa.
All’interno della comunità civile deve essere riconosciuta, con pari dignità, anche ad altri soggetti la possibilità di gestire percorsi di insegnamento. I partiti della sinistra propongono invece nei loro programmi una visione dell’istruzione e della scuola legata alla loro ideologia. Il partito socialista punta alla scuola del popolo con l’obbligo fino a 15 anni. Enfatizza anche l’importanza della scuola professionale. Il partito comunista insiste molto sulla necessità di rendere accessibile la scuola a tutti e sul ruolo esclusivo dello stato nella gestione dell’istruzione. A destra invece i liberali richiamano i principi e l’impostazione della riforma Gentile perché è in grado, secondo questo partito, di ridare autorevolezza oltre che autorità al sistema scuola. Inoltre ritengono che la scuola debba essere selettiva, per garantire una solida preparazione a chi è chiamato a ricoprire ruoli dirigenziali nel Paese.
Il dibattito della Costituente, che poi ha prodotto gli art. 34 e 35 della Costituzione, è assai ben conosciuto, anche grazie alla documentazione che è stata predisposta dai partiti e agli studi dei vari ministri che hanno operato nel triennio 1943-1946.
Del problema, durante i lavori dell’Assemblea, si occupano due sottocommissioni, per la precisione la prima e la terza. La prima sottocommissione, che ha il compito di affrontare anche le questioni relative ai diritti della persona approva un testo di questo tenore: “Ogni cittadino ha diritto di ricevere un’adeguata istruzione ed educazione per lo sviluppo della propria personalità e per l’adempimento dei compiti sociali”.
La terza sottocommissione affronta la stessa problematica, sia pure più da un punto di vista socio-economico e formula un articolo che recita così: “L’istruzione è un bene sociale. È dovere dello Stato organizzare l’istruzione di qualsiasi grado in modo che tutti i capaci possano usufruire di essa. L’insegnamento è obbligatorio per tutti. La frequenza delle scuole di grado superiore è permessa ai soli capaci. All’istruzione dei ragazzi poveri, che per capacità possono frequentare la scuola di gradi superiori, lo stato provvede con aiuti materiali”.
Questi due enunciati rappresentano i presupposti di quello che sarà poi l’articolo 34 che – e questo è un puro richiamo storico – in una prima stesura viene così elaborato: “La scuola è aperta al popolo. Ogni cittadino ha diritto a tutti i gradi di istruzione senza altra condizione che quella dell’attitudine e del profitto. La Repubblica detta le norme, le quali, mediante borse di studio, sussidi alle famiglie ed altre provvidenze, garantiscono ai più capaci e meritevoli l’esercizio di tale diritto. L’insegnamento primario e post-elementare, da impartire in otto anni, è obbligatorio e gratuito almeno fino al quattordicesimo anno di età”.
Su questo testo, che ha per estensori due personaggi di alto livello, Aldo Moro per la Democrazia Cristiana e Concetto Marchesi per il PCI, si apre una discussione che ha due temi principali: il primo è l’obbligo scolastico (l’accesso all’istruzione), il secondo l’assistenza scolastica e le modalità per garantirla (il diritto di poter studiare).
In questa sede si affronta anche la problematica riguardante gli istituti privati di insegnamento, in altre parole il tipo di competenza dello Stato in materia di insegnamento. È appena il caso di sottolineare che questo ultimo punto rappresenta una situazione conflittuale tra il partito democristiano e le altre forze politiche. In particolare il PCI e il PSI sostengono che è indiscutibile compito dello Stato gestire l’istruzione e l’educazione del popolo. Solo allo Stato, allo Stato solamente, tocca questa funzione, quella dell’istruzione. Di idea profondamente opposta la Democrazia Cristiana che opera e lotta per garantire alla scuola privata una posizione di parità. Per la DC scuola statale e scuola privata devono essere collocate sullo stesso piano, in quanto concorrono entrambe all’attuazione di un servizio pubblico. La DC, tra l’altro, proprio per il principio appena citato, vorrebbe riconosciuto un diritto al finanziamento delle istituzioni educative non statali. La proposta democristiana è osteggiata in modo pesante dai comunisti.
Alla fine però, spostando in altra sede la questione relativa al ruolo della scuola privata, si trova una soluzione equilibrata che si può ben vedere nell’articolo 34 della Costituzione: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti negli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio e assegni alle famiglie ed altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso”.
Il testo finale entrato nella Costituzione, che definisce le caratteristiche del diritto all’istruzione e indica anche i compiti della Repubblica, merita qualche commento e merita opportune sottolineature. Innanzitutto è da richiamare l’attenzione sul termine del primo comma. Come ben si può notare, questa parola sostituisce sia “cittadino” sia “popolo”.
Il motivo è semplice ma importante: il diritto all’istruzione è un diritto universalmente riconosciuto. Ogni uomo, ogni singolo essere umano ha diritto all’istruzione perché l’esercizio di questa prerogativa è indispensabile per lo sviluppo e la crescita della personalità, a prescindere dalla sua razza, dalla sua lingua o dalla sua religione. Ogni Stato quindi, e nel nostro caso la Repubblica, deve mettere a disposizione le sue strutture scolastiche per garantire a tutti la possibilità di accedere ad una scuola.
Se fosse stata ad esempio mantenuta al posto di “tutti” la parola “cittadino”, solo ai cittadini, cioè ai titolari del diritto di cittadinanza, sarebbe stato garantito il diritto all’istruzione. Con la formulazione in vigore, invece, il diritto all’istruzione per il suo esercizio non richiede la cittadinanza. In secondo luogo, è sancito in modo preciso la durata dell’attività scolastica, prendendo le indicazioni inserite nella prima della due bozze, sostituendo l’espressione di “insegnamento primario e post-elementare” con una frase che sintetizza i due concetti: “educazione inferiore”.
In terzo luogo, pur essendo state eliminate le frasi “l’istruzione è un bene sociale”, e “È supremo interesse dell’individuo e della collettività assicurare ad ogni cittadino un’adeguata istruzione” in quanto rappresentano dei valori che già sono inseriti nel concetto di istruzione, il legislatore costituente ha voluto ribadire, per rafforzare la sua visione sociale, che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto ad accedere a tutti i gradi dell’istruzione”. Una modifica non marginale.
Prof. Franco Peretti
Esperto di metodologie formative