Sono bastate appena 48 ore per far saltare in aria la Superlega, il progetto messo in piedi dalle big d’Europa – tra cui le italiane Juventus, Inter e Milan – di creare una nuova competizione il cui obiettivo principale sarebbe stato quello di risollevare le sorti (economiche) del calcio. Proprietà, presidenti e dirigenti delle squadre che hanno aderito al piano però non si sono resi conto che di Super in questo progetto c’era ben poco.
Subito dopo l’annuncio gli organi di governo del calcio, federazioni e leghe nazionali, istituzioni politiche, tifosi e opinione pubblica si sono schierati apertamente contro l’iniziativa, etichettata come “iniqua, antisportiva e egoista“.
Se in un primo momento i 12 club eletti avevano pensato solo ed esclusivamente al proprio tornaconto personale, d’un tratto la mobilitazione in piazza di migliaia di tifosi – in particolar modo nel Regno Unito, considerata la patria del calcio moderno – e la minaccia di esclusione da qualsiasi competizione sportiva nazionale e continentale ha fatto cambiare punto di vista ai diretti interessati che uno dietro l’altro si sono tirati indietro.
Alla fine le ‘tessere del domino’ costruito nell’ombra per mesi e messo in piazza domenica notte sono crollate una dietro l’altra senza risparmiare nessuno.
I primi ad abbandonare il progetto sono state le inglesi (Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester City, Manchester United, Tottenham) che non hanno potuto ignorare la rabbia e la delusione manifestate sia da parte dei tifosi appartenenti ai club coinvolti sia di quelli delle altre squadre. Numerosi gli striscioni esposti davanti agli stadi e alle sedi delle società che hanno colpito nel segno con su scritte frasi del tipo “Vergonatevi“, “Guadagnatevi il rispetto sul campo, il calcio è dei tifosi“, “Il calcio è morto” e “Creato dai poveri, rubato dai ricchi“.
Sarebbe stato pressoché impossibile rimanere indifferenti davanti ad una così imponente e sincera manifestazione d’amore nei confronti del Calcio, quello con la C maiuscola. Mentre qualcun altro pensava si scrivesse €alcio oppure $alcio, che di maiuscolo ha solo il vil denaro. Senza dimenticare la dura presa di posizione del premier Boris Johson che nelle ore immediatamente successive all’annuncio ha dichiarato il progetto “estremamente dannoso“, manifestando il pieno appoggio alle organizzazioni calcistiche e alle possibili azioni da intraprendere contro i club ‘secessionisti’.
Nella notte è arrivato la notizia della rinuncia della prima società italiana, l’Inter, che in un comunicato diramato in mattinata sul proprio sito ufficiale ha confermato di aver abbandonato il progetto. Il club meneghino ha però sottolineato di voler continuare strenuamente nell’intento di migliorare l’industria del calcio (non il gioco, sia ben inteso), per il bene dei propri supporters nel segno dell’innovazione e dell’inclusione.
“L’Inter – si legge nella nota – crede che il calcio, come ogni settore di attività, debba avere interesse a migliorare costantemente le sue competizioni, per continuare ad emozionare i tifosi di tutte le età in tutto il mondo, in un quadro di sostenibilità finanziaria. Con questa visione continueremo a lavorare insieme alle istituzioni e a tutte le parti interessate per il futuro dello sport che tutti amiamo“. Nonostante i buoni propositi è lecito pensare (in primis il sottoscritto) che a pesare sulla decisione del presidente Zhang e del club nerazzurro sia stata anche la possibilità di vedersi revocare l’eventuale vittoria del campionato in corso e quindi dello Scudetto, trofeo che manca in bacheca dalla stagione 2009/10.
Nel pomeriggio di oggi sono arrivati in rapida successione i ritiri delle altre due italiane coinvolte. Il Milan nel suo comunicato non rinnega la decisione di aver accettato l’invito a partecipare alla Super League, con l’intento ‘genuino’ di dare vita a quella che si pensava potesse diventare “la migliore possibile competizione Europea per i fan di tutto il mondo“.
Si sottolinea come i cambiamenti non siano facili da accettare, ma “l’evoluzione è necessaria per progredire“, ma la voce e la preoccupazione dei tifosi di tutto il mondo abbiano costretto il club rossonero al dietrofront perché “deve rimanere sensibile e attento all’opinione di chi ama questo meraviglioso sport“. La comunicazione si conclude con l’impegno di continuare la ricerca di un “modello sostenibile per il mondo del calcio“
Mentre la Juventus prima con le dichiarazioni del presidente Andrea Agnelli all’agenzia Reuters, e poi con una nota ufficiale ha sventolato la fatidica bandiera bianca, senza alcun segno di strisce nere. In mattinata il numero uno della Vecchia Signora aveva affermato di essere convinto della bontà del progetto, ma nutriva enormi dubbi sulla sua riuscita dopo la fuoriuscita dei sei club inglesi.
Nel pomeriggio un comunicato ha sancito il definitivo addio nonostante la ferma convinzione “della fondatezza dei presupposti sportivi, commerciali e legali del progetto“. Il dibattito pubblico e le successive defezioni hanno ridotto drasticamente, se non addirittura annullato, la possibilità di realizzazione del progetto così come era stato inizialmente concepito. Sebbene sia stato specificato che “le necessarie procedure previste dall’accordo tra i club non siano state completate“.
Così come le altre due italiane anche la Juventus ha manifestato la volontà di proseguire la ricerca di costruire “valore a lungo termine” sia per la stessa società e che per l’intero movimento calcistico.
Il progetto della Superlega è fallito, con esso il sogno di pochi club d’élite di arricchirsi a discapito delle altre migliaia di squadre che hanno contribuito e che ancora oggi continuano a contribuire alla bellezza di questo straordinario sport. In questo senso le tre società italiane coinvolte, nei comunicati, hanno cercato di giustificare il loro ammutinamento mettendo sul piatto due importanti questioni:
A mio modestissimo parere il punto è che oltre le società dovrebbero partecipare e condividere questi nobili intenti anche un’altra componente fondamentale del calcio composta da due elementi imprescindibili: giocatori e allenatori. Senza dimenticare l’importanza dell’operato dei rispettivi procuratori. Il problema più grande delle società calcistiche è rappresentato dalla voce uscite, in particolar modo dagli ingaggi elargiti nei confronti dei propri tesserati e le commissioni pagate ai procuratori.
Se i veri protagonisti del calcio – calciatori e mister – si rendessero conto della pericolosa deriva che sta prendendo il movimento dovrebbero rivedere le proprie pretese economiche e smetterla di lamentarsi ogni tre per due chiedendo aumenti come se non ci fosse un domani.
Nel caso in cui l’aumento non sia concesso è usanza comune minacciare di lasciare il club a parametro zero, arrivando a scadenza di contratto e non permettendo ai club di monetizzare la vendita del proprio giocatore. Un modus operandi architettato spesso da avidi procuratori – non l’intera categoria, sia ben inteso – che mettono a repentaglio la tenuta dell’intero sistema e dei singoli club, per arricchire le proprie tasche e quelle dei propri assistiti.
Anche le società hanno le loro responsabilità, dovrebbero farsi furbe e non legarsi ai propri tesserati con penali in caso di divorzi anticipati. In questo senso è lampante l’esempio dell’esonero da parte del Tottenham di José Mourinho, il quarto consecutivo, avvenuto due giorni fa: la società londinese è stata costretta a corrispondergli una liquidazione di 17 milioni di euro (15 milioni di sterline). Soldi ben spesi, ironicamente s’intende, considerata l’uscita agli ottavi di Europa League contro la Dinamo Zagabria, che nella gara di andata in casa aveva sconfitto per 2-0, e l’attuale settimo posto in Premier League che la escluderebbe dalle prossime competizioni europee compresa la neonata Conference League.
Analizzando questi fattori organi di istituzione come Uefa e Fifa dovrebbero intervenire e stabilire una serie di regole che tutelino i club. Come avevo già esplicitato in un precedente articolo fissare un tetto massimo agli ingaggi potrebbe essere una soluzione plausibile, così come potrebbe essere risolutivo fissare una percentuale massima nelle commissioni richieste dai procuratori. Procuratori che oltre alla commissione sull’ingaggio del giocatore spesso chiedono un indennizzo al club: anche questa pratica dovrebbe essere vietata.
Un’altra questione fondamentale è legata ai parametri zero: la sentenza Bosman ha rivoluzionato il calcio, ma così come è scritta ormai viene utilizzata solo ad uso e consumo di calciatori attaccati ai soldi e procuratori prezzolati. A mio avviso in base agli anni del giocatore in questione, fino ad una determinata età, bisognerebbe stabilire un indennizzo forfettario da versare nelle casse del club dal quale il giocatore se n’è andato gratuitamente.
Magari saranno considerate idee utopiche e condivise da pochi, ma il calcio dovrebbe rappresentare un mix di passione, emozione, rispetto, fratellanza e sacrificio. Credo che i tifosi sarebbero anche pronti a sacrificarsi, ma gli addetti ai lavori sarebbero altrettanto pronti a guadagnare qualche milioncino in meno per permettere a questo sport di continuare a vivere e a far sognare?