Il progetto di alcuni tra i più blasonati e ricchi club europei inerente la creazione di una SuperLega, ovvero una nuova competizione calcistica alla quale parteciperanno sempre quindici club ‘fondatori’ più altri cinque che varieranno di anno in anno sulla base dei risultati sportivi conseguiti nella stagione sportiva precedente, è stata capace nel giro di qualche ora da suo annuncio di dare vita ad un terremoto mediatico di proporzioni stratosferiche.
Ieri sera il presidente del Real Madrid, Florentino Perez, in una lunga intervista rilasciata al programma televisivo spagnolo ‘Chiringuito de Jugones‘ ha spiegato i motivi che hanno costretto l’élite del calcio europeo ad intraprendere questa decisione. Con enorme stupore (ironico) di giornalisti, tifosi, addetti ai lavori e opinione pubblica il numero uno dei Blancos ha svelato il punto focale del problema: tutto ruoterebbe attorno al ‘Dio denaro’. Strano ma vero.
Il calcio è business, questo è un fatto consolidato, ma la convinzione che salvaguardare le finanze dei 12 club scissionisti che hanno aderito all’iniziativa, ancora più sommersi dai debiti dopo la pandemia, vorrebbe dire ‘salvare tutto il calcio europeo‘ appare un tantino esagerato. Sono sicuro che dopo l’affermazione di Perez e colleghi presidenti il barone de Coubertin si sia rivoltato nella tomba e domandandosi perché valori come il rispetto dell’avversario e delle diversità, l’amicizia, il fair play, la disciplina, l’impegno e il sacrificio tutto d’un tratto siano finiti nel dimenticatoio.
Dall’alto delle loro posizioni di supremazia gli scissionisti si vantano di possedere un bacino d’utenza pari a 1 miliardo di tifosi in tutto il mondo e di aver conquistato insieme ben 99 trofei continentali. Tutto vero. Ma anche un altro dato è incontrovertibile: da un punto di vista prettamente finanziario hanno amministrato male le società di cui sono a capo. In che modo? Illudendo i propri tifosi di essere in grado di acquisire i giocatori più forti in circolazione, a prescindere dal costo del cartellino, delle esorbitanti richieste di ingaggio e dai sostanziosi compensi elargiti ai loro procuratori.
E quindi ci vogliono dare a bere che con il progetto di costituire una nuova Superlega riservata a pochi eletti dai fatturati megagalattici e indipendente da organi ufficiali come Uefa e Fifa si farebbe il bene di tutti? Senza dimenticare che lo stesso Perez ha affermato che è si starebbe valutando l’idea di accorciare il tempo delle partite perché i giovani tra i 16 e i 23 anni stanno perdendo interesse nei confronti del ‘prodotto calcio’ così come è presentato oggi.
Per cui sarebbe lecito chiedere a questi luminari di economia, oltre che di sport se i giovani di quella che è considerata la ‘Generazione Z’, avvezza all’uso della tecnologia, di internet, dei social media e di conseguenza capace di fagocitare una grande mole di contenuti in tempi brevissimi, quando impugnano il joypad di una console per giocare ai videogame dedicano a questa loro pratica il meno tempo possibile in quanto hanno una soglia di attenzione molto bassa. Mi spiace contraddirli ma si verifica l’esatto contrario. Anzi sono i genitori a doverli staccare a forza dallo schermo in quanto ammaliati da una pratica che li ipnotizza e li attrae fino alla dipendenza.
Il problema non sta nei ragazzi di oggi e non sta nemmeno nelle sfide prive di appeal tra Juventus e Ferencváros o tra Liverpool e Midtjylland (sfide che in questa edizione della Champions si sono realmente disputate). Il vero problema sta nella gestione poco oculata delle società che sono diventate ostaggio di giocatori, allenatori e procuratori, sempre più propensi a arricchire il proprio conto in banca e a cambiare casacca alla prima occasione. Senza dimenticare che i tifosi sono stati presi per i fondelli: è sempre stato messo in luce loro un solo lato della medaglia, quello delle campagne acquisti faraoniche e della promessa di vittorie, mentre il lato inerente debiti e spese messo in secondo piano.
Quale potrebbe essere la soluzione alternativa a far rifiorire il calcio senza adottare idee e progetti secessionisti? Io un’idea in mente ce l’ho e prende spunto dal tanto citato ‘modello Nba’: bisognerebbe stabilire un tetto massimo al monte ingaggi delle società che militano nei massimi campionati europei. In questo modo si creerebbe un sistema più equo e competitivo che permetterebbe a qualsiasi società di ingaggiare almeno un campione a testa e di non riempire di fuoriclasse solo ed esclusivamente pochissimi club.
È innegabile che le società che dispongono di maggiori introiti continuerebbero ad acquistare i giocatori più richiesti e più talentuosi (almeno sulla carta) ma terminerebbe ad esempio il mercato delle vacche ‘dei parametri zero’ e anche i giocatori dovrebbero rimodulare al ribasso le proprie pretese economiche. Addio prime donne e procuratori senza scrupoli, burattinai del calcio moderno
Proviamo a fare un paio di esempi: se il monte ingaggi fosse fissato a 60 milioni di euro annui netti per club una società come la Juventus che vanta la presenza di sua maestà Cristiano Ronaldo, al quale elargisce 31 milioni netti all’anno, dovrebbe farsi bastare altri 29 milioni per il resto della squadra composta da altri 23 giocatori. Il problema è che il monte ingaggi degli altri 23 compagni bianconeri è di circa 60 milioni, quindi se questa regola fosse attiva la Vecchia Signora dovrebbe dimezzarlo.
L’unica eccezione permessa sarebbe quella di permettere di sforare il budget di un tot, ad esempio altri 10 o 20 milioni, ma entrerebbe in ballo una sorta di multa che nella Nba si chiama Luxury Tax (Tassa di lusso), pari al 100% del corrispettivo sforato. Tassa che andrebbe suddivisa tra i club più virtuosi, premiati per aver rispettato i paletti.
Altra considerazione di non poco conto è che ogni Paese europeo ha un regime fiscale differente e quindi ci sono nazioni che beneficiano di tassazioni più basse rispetto ad altre. Una questione che il buon Adriano Galliani aveva affrontato già diversi anni fa, in tempi non sospetti. In questo caso dovrebbe intervenire direttamente l’Uefa stanziando più risorse nei confronti delle squadre che partecipano alle competizioni europee e che pagano più tasse nel proprio Paese di appartenenza.
La speranza è che la bufera mediatica creata dal progetto della Superlega possa rappresentare lo spunto per aprire un dibattito serio sulla sostenibilità del calcio e su come migliorare il sistema. Alla faccia di chi si arricchisce sulle spalle dei tifosi fingendo fedeltà ad una maglia che non ha mai amato mentre è pronto ad idolatrare il Dio denaro.