• 21 Novembre 2024
  • INTERVISTE

Roberto Esposito, l’insider che racconta strategie e segreti dei social media

Su quanto i social media influenzino la nostra vita tutti i giorni se ne fa sempre un gran parlare, ma l’obiettivo oggi non é tanto quello di comprendere come possa venire influenzata la nostra autostima, in base al numero di like e follower che abbiamo, quindi dal punto di vista strettamente di ‘utente’, ma quello di comprendere il potere insito nei social media di chi sa utilizzarli senza in realtà nessuno scopo secondario, se non quello di diffondere le proprie competenze e di puntare unicamente sulla qualità dei contenuti. Roberto Esposito imprenditore e CEO di DeRev e Forekeep, Guinness World Records e Digital Democracy Leader del Parlamento Europeo, ci parla della sua esperienza di ‘successo’ in questa lunga ed articolata intervista che ci ha gentilmente concesso.

Social media, l’intervista a Roberto Esposito: strategia e gavetta, niente formule segrete

Roberto, abbiamo visto e ripreso in un nostro recente articolo un suo interessante video in cui mangiando una pizza spiegava il teorema di Gauss, lei scherzosamente ha scritto lanciando sulla sua pagina facebook il video: “Finalmente ho capito a cosa mi è servito studiare ingegneria aerospaziale: fare il nerd anche quando mangio una pizza”. A suo avviso il suo successo sui social nonostante i contenuti complicati spiegati da dove deriva? Dalla sua istruzione che la rende abile nel rendere semplice il complesso o dalla sua capacità comunicativa che la porta a sapersi confrontare con un pubblico così eterogeneo mischiando ironia, aspetti di vita del quotidiano e teoremi?

La parte buona dei social media, di cui si parla ormai molto poco, è quella di offrire uno spazio aperto alla sperimentazione, in cui poter proporre idee, contenuti e linguaggi agli utenti senza filtri. Rischiando, ma potendo osare davvero. Si dice che la chiave della buona comunicazione sia la capacità di proporre messaggi comprensibili, ma la formula rimane vuota se non si trova una chiave efficace, e riferirsi alle cose di tutti i giorni aiuta senz’altro. Il mio è stato un gioco, e le persone hanno risposto partecipando e giocando insieme a me: quello del teorema con la pizza è un video tecnicamente “imperfetto”, con inquadratura casalinga e un unico tentativo a disposizione (ahimè una sola pizza), che aiutano a rendere tutto più vicino e sincero.

In generale, sono molto attivo sui social media – Facebook (fb.com/about.Rob) e Instagram (@RobertoEsposito85) in particolare – dove racconto le idee a cui lavoro e le mie opinioni in relazione con ciò che accade, sperimentando spesso nuove strategie che coinvolgono attivamente le persone. Ancora presto per chiamarlo “successo”, ma se fino ad ora ha funzionato è probabilmente merito di due fattori. Il primo è che parlo di pochi argomenti, ma in cui ho maturato una profonda esperienza e di cui mi occupo quotidianamente in prima persona (business e startup, innovazione digitale e social media, comunicazione e marketing, strategie politiche e mondo del lavoro). Lo faccio con un approccio particolare, non come divulgatore o utente finale ma dal punto di vista dell’insider, avendo l’opportunità di viverli e comprenderli dall’interno con il mio lavoro e quindi di raccontarne i backstage, mostrando l’altro lato della medaglia e analizzando le strategie e le dinamiche secondo cui funzionano.

Il secondo fattore è semplicemente che io non provo a vendere niente: tutto quello che racconto con post, video e storie non ha mai una finalità commerciale e non nasce quindi con l’obiettivo di convincere il mio pubblico a cliccare, iscriversi o acquistare qualcosa. In un mondo di consulenti, guru ed esperti che puntano sempre a trasformare i propri follower in clienti, io conservo gelosamente la libertà di poter parlare alle persone senza alcun secondo fine e senza conflitti di interesse, concentrandomi esclusivamente sulla qualità dei contenuti e sul valore che questi generano per chi è interessato a seguirmi e confrontarsi. Solo con questa sincerità si può conquistare la fiducia e la stima delle persone, sul web come nella vita offline, e non c’è nessuna formula in questo caso. Se poi c’è anche una pizza, allora qualsiasi cosa diventa più bella.

La storia di un imprenditore di successo: tanto lavoro, poche ore di sonno, idee chiare e tanta passione

Lei è prima di tutto un imprenditore, ci passi il termine, digitale, che ha dato vita a numerosi progetti di successo, da dove e come nasce tale passione e cosa, a suo avviso, potrebbe fare un giovane alle prime armi per affacciarsi con successo al mondo digitale? Esiste una strategia di successo o tutto si basa sul ‘prova ed errori’ e sulla propria capacità di non demordere dinanzi agli ostacoli?

La mia storia, e con essa il suo messaggio, è quella di una lunga gavetta senza trucchi o scorciatoie. Un incessante lavoro che ho portato avanti parallelamente agli studi, mantenendo un profilo basso e combattendo ogni accenno di sconforto: ho provato così a costruire negli anni tanti progetti che, uno dietro l’altro, rappresentavano i tasselli di una strategia di lungo periodo che io avevo chiara in mente, convinto che negli anni avrebbe preso forma portandomi dove volevo e diventando evidente anche a tutti gli altri.

Sono nato e cresciuto in un piccolo centro dell’Italia meridionale, nel cuore del Cilento, un posto lontano dai grandi flussi della comunicazione, e proprio questo mi ha spinto ad usare il web per dare uno sbocco alla mia creatività, alle mie passioni e alla mia curiosità, inventando delle iniziative – come quella del Guinness World Record – che alcuni avrebbero percepito come inutili, ma che acquistano un senso se lette in un quadro più ampio. In quell’occasione, ho deciso di sfidare, da sconosciuto, un colosso internazionale dei videogame per battere il record mondiale del post più commentato su Facebook, senza soldi né risorse, offrendo alla gente solo un’occasione per unirsi a me e immedesimarsi nel Davide che sfida Golia. Negli anni in cui i social media esplodevano in Italia, il mio obiettivo era dimostrare la possibilità di utilizzarli (e la mia capacità nel riuscirci) come strumento per raggiungere un gran numero di persone e unirle per raggiungere un obiettivo comune. Operazione riuscita, grazie a 20 ore di lavoro al giorno per quattro mesi.

Oltre 600.000 commenti significano decine di migliaia di contatti reali con persone, prima conosciute e poi sconosciute da incuriosire, sollecitare, stimolare, sfidare. Con i media a raccontare la storia e un’ondata di nuove proposte, tra cui l’America’s Cup e Greenpeace International per convincere Facebook a rivedere la propria politica energetica, ben presto mi sono reso conto di quale fosse la più grande opportunità della mia vita: la conoscenza degli strumenti digitali, l’empatia e la capacità di interpretare lo spirito e i gusti delle persone, la voglia di dialogare con loro, un percorso di aggiornamento continuo e incessante (e la capacità di rinunciare alla quota fisiologica di ore di sonno necessarie per una vita sana) sono la formula molto poco magica per trasformare le proprie passioni in un lavoro. Una formula che valeva per i miei primi esperimenti goliardici e vale ora che il digitale è diventato il mio lavoro a tempo pieno. Da lì ho infatti fondato DeRev, la mia prima startup nel settore digitale, che in pochi mesi è decollata ricevendo un primo investimento di 1,25 milioni di euro, per poi continuare a crescere fino a diventare una delle più prestigiose aziende in Italia nel modo delle strategie digitali, del crowdfunding, della comunicazione e del marketing sui social media.

Social media: impatto positivo o negativo nella vita come nel lavoro?

Visto che lei è molto avvezzo all’uso dei social e questi nelle sue mani hanno un impatto assolutamente positivo anche sui giovani, cosa direbbe a quanti spesso li usano in modo erroneo, si pensi alle ultime sfide su TikTok che hanno portato alla morte di alcuni ragazzini, il problema, a suo avviso, sta negli strumenti digitali o nella personalità di chi usa tale strumento?

Da quando i social media sono diventati parte integrante della nostra vita, la tendenza è quella di volerne dimostrare l’impatto negativo, come in passato accadeva per i videogame o i film più violenti. Non è difficile rilevare come il nostro stile di vita sia effettivamente rivoluzionato rispetto a qualche anno fa, anche nelle più piccole e semplici abitudini quotidiane, ma stabilire rapporti certi di causa ed effetto è pretenzioso. La ricerca più interessante sul tema è dell’agenzia per la salute inglese, che un paio d’anni fa ha scomposto l’analisi sui social legando l’impatto di ciascuno ai singoli problemi. È venuto fuori un quadro assai variegato ed interessante, nel quale YouTube risulta funzionale alle campagne sociali (ricordate l’Ice Bucket Challenge?) mentre Instagram è quello più dannoso per l’autostima, dato che la costruzione delle immagini è sempre più artefatta, e tende a mostrare una realtà migliorata per offrire una visione di sé “aumentata”.

Sono solo due parametri di un quadro che ne incrocia decine, dando il senso di come non sia possibile tagliare con l’accetta un contesto che va osservato fibra per fibra, al microscopio. L’errore fondamentale è voler affrontare il digitale come un insieme unico e inscindibile, mentre oggi è l’ambiente più complesso ed articolato da decifrare, anche per la sua velocità di evoluzione. Non esistono ricette perfette, segreti da svelare o soluzioni infallibili: anche se tutto sembra rispondere ad una sola logica, ogni tema merita una considerazione dedicata e mirata, proprio come nella vita “vera”.

Quello di TikTok è il caso estremo un discorso molto ampio che riguarda l’educazione digitale, e che coinvolge gli adulti prima ancora dei ragazzi. Nessun genitore consentirebbe ad un bambino di 10 anni di uscire da solo in una città affollata, però allo stesso tempo gli lascia trascorrere serenamente ore intere con lo smartphone senza alcun controllo o supervisione, non rendendosi conto che rischi e cautele sono esattamente le stesse. I bambini falsificano la propria data di nascita per potersi iscrivere a chat e social network, pubblicano contenuti sensibili e intimi, e sono potenzialmente esposti a qualsiasi tipo di contatto, richiesta o proposta da parte di sconosciuti. L’educazione alla conoscenza e all’uso consapevole degli strumenti digitali oggi è importante quanto (se non di più) quella civica, ambientale, sessuale, e spesso alcuni genitori sono incapaci di comprenderlo poiché sono i primi a non avere alcuna educazione digitale: sono gli stessi che su Facebook credono alle fake news, usano linguaggi d’odio e pubblicano commenti diffamatori senza capire le implicazioni anche legali. È un tema su cui mi batto molto, anche con le mie aziende, in cui spesso sono gli adolescenti e i nativi digitali a dover educare gli adulti.

Se oggi non sei online non esisti: ma se non crei empatia non ‘duri’

In una recente intervista che ha rilasciato a Women Of Chance Italia ha detto che per lei internet è stato un po’ una ‘finestra sul mondo ’ un ‘palcoscenico’ a costo zero che le ha permesso di esprimere sè stesso e farsi conoscere, crede che ad oggi gli strumenti digitali abbiano ancora questa valenza e soprattutto pensa che le aziende o i brand dovrebbero puntare sui social e sul posizionamento online per arrivare ai propri clienti in modo più empatico e diretto?

Assolutamente sì. E il perché è presto detto: se oggi non sei online non esisti. Il web offre l’occasione unica di guadagnare una visibilità altrimenti molto più ardua da conquistare, ma credo sia sempre una questione di sostanza. Senza un’identità forte, un posizionamento, dei principi e dei valori riconoscibili, un linguaggio chiaro ed efficace e un’idea precisa del pubblico a cui si vuole parlare, non esiste nemmeno il discorso. Spesso i personaggi capaci di arrivare al pubblico di massa – penso a molti influencer – vengono liquidati come gente che capitalizza cose semplici, frivole e di poca rilevanza, mentre vanno invece distinti dai trend virali, quelli che destano attenzione per un breve momento senza essere in grado di dare continuità alla loro presenza. Avere un piano significa costruire una storia coerente per una personalità capace di comunicare qualcosa agli altri, che nel messaggio, nei modi e nelle forme riconoscono qualcosa di familiare, di piacevole, di vicino. Quelli che “durano”, quelli che fanno cose semplici ma che piacciono a tanti e tanto a lungo, in realtà hanno una loro originalità capace di colpire nel modo giusto le persone, perché ne intercettano gusti ed esigenze. È la base dell’empatia, al di là della retorica e delle parole vuote: una capacità che va rispettata, perché è sapersi mettere nei panni dell’altro, per proporsi come un riferimento. Vale per i temi più leggeri come per le cose più importanti.

Il potere dei like e dei follower: perché contano così tanto?

Spesso chi usa i social, adulti o giovani che siano, è alla continua ricerca dell’incremento dei propri followers, come se l’essere seguito e l’ottenere il ‘mi piace’ sotto un post fosse sinonimo di affermazione personale, mentre in caso contrario in presenza di commenti negativi o di pochi followers venisse meno una dimensione valoriale personale. Lei riscontra questa dimensione? Vi è un modo, a suo avviso, per far crescere la propria fan base senza dover per forza fare qualcosa per attirare l’attenzione ma semplicemente perché i contenuti/prodotti sono validi, si può davvero creare empatia e condivisione d’intenti con chi ci segue e soprattutto anche con chi ci critica?

Per molti i social media sono un vero e proprio alimentatore di autostima: chiunque controlla il numero di like quando pubblica un nuovo post, rimanendo deluso se non ottiene il successo sperato e provando un reale senso di benessere e gratificazione quando invece riceve molte reazioni e commenti positivi. In questo senso, i social media rappresentano una vetrina della propria vita e i follower diventano una misura della popolarità e dell’approvazione da parte degli altri, portando gli utenti alla ricerca spasmodica di like e all’ostentazione di sé fino ad arrivare alla falsificazione della propria immagine e della propria vita: me ne sono occupato recentemente in un mio video (www.facebook.com/about.Rob/videos/2582667051827412/) che raccontava il fenomeno dei fake travel mostrando – con un esperimento sociale di cui i miei follower erano vittime – come moltissimi utenti costruiscono un’immagine falsa di sé inventando di sana pianta viaggi, vacanze ed esperienze vissute. La questione ha un impatto così rilevante che Instagram ha deciso di nascondere il numero di like ai post per spingere gli utenti a concentrarsi sulla qualità dei contenuti e non sull’obiettivo di ottenere il maggior numero di apprezzamenti.

Se invece i social media sono uno strumento per costruire il posizionamento di un brand o di un personaggio, allora queste logiche cambiano radicalmente e l’approccio non può prescindere dalla strategia: se hai le idee chiare, un piano plausibile e degli obiettivi definiti sai che in realtà non hai bisogno delle cosiddette “vanity metrics”. Meglio 1000 veri follower che ti seguono che milioni di sconosciuti che non sono realmente interessati e dunque non interagiscono. Non è una regola filosofica, ma economica. Il punto è che 1000 follower fedeli, attenti e che ti sostengono sono un numero molto impegnativo di persone da convincere e conquistare, quindi meglio mettersi al lavoro da subito, e puntando a guadagnare la loro attenzione, la loro fiducia e il loro appoggio tramite la qualità della propria offerta. Se hai in mente il business, naturalmente, altrimenti vale tutto.

In parole povere, se sei davvero esperto di qualcosa, competente in un campo, se puoi e riesci (sono due cose diverse) ad offrire un valore, un’utilità, allora fallo, e cerca di capire come farlo al meglio.

Grazie mille Roberto per questa intervista dettagliata e precisa che sicuramente offrirà ai nostri lettori e ad altri imprenditori motivo di riflessione e confronto.

Grazie a te Erica, e a voi del Valore Italiano, per avermi ospitato.

Tags

Erica Venditti

Erica Venditti, classe 1981, dal 2015 giornalista pubblicista. Dall'aprile 2012 ho conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata presso l’Università degli studi di Torino. Sono cofondatrice del sito internet www.pensionipertutti.it sul quale mi occupo quotidianamente di previdenza.

Articoli correlati