• 23 Novembre 2024
  • CRONACHE

Bari, muore bimbo di 9 anni: nuova tragedia Tik Tok? L’intervista sulle sfide

A Bari l’ennesima tragedia che coinvolge un giovanissimo, un bimbo di 9 anni è stato trovato impiccato. La dinamica pare analoga a quella accaduta pochi giorni fa a Palermo, sotto accusa nuovamente i social. Nei giorni scorsi, infatti, anche una bimba di 10 anni aveva perso la vita con una corda intorno al collo partecipando ad una sfida assurda su TIK TOK. La magistratura sta ora indagando ed ha disposto il sequestro di pc e telefonino a cui il bambino aveva accesso, il dubbio è che anche questa volta i social abbiano avuto un ruolo determinante, esattamente come nel caso di Antonella.

Si tratta di una nuova tragedia firmata TIK TOK si stanno chiedendo già in molti preoccupati da un fenomeno che pare dilagare? Cosa può spingere un giovane a partecipare a questi giochi/sfide estreme sapendo di rischiare la propria vita?

La voglia di affermarsi, di rivalsa, la noia, il desiderio di mostrarsi più forti? Il Garante della privacy già nei giorni scorsi ha bloccato l’accesso a Tik Tok per gli utenti di cui non sia stata verificata l’età, ma il problema sono davvero i social o dietro queste tragedie si nasconde un malessere generazionale che va oltre lo strumento? Ne abbiamo parlato con Aldo Ronco, Mental Coach ICF, che si occupa di crescita personale, relazioni, comunicazione, leadership, sport e gestione dei Team. Lo ringraziamo per questa interessante intervista che ci ha concesso.

Tik Tok, ennesima tragedia dove risiede il problema? Nei social o nell’individuo in crescita

Aldo, il problema di questi suicidi prematuri che nascono spesso a seguito dell’accettazione di sfide sui social, sono da ricercare negli strumenti che oggi utilizzano i giovanissimi per relazionarsi con gli altri, o il problema a suo avviso va ricercato altrove?

Per definizione uno “strumento” non può danneggiare una persona, ma è l’uso che la persona ne fa che ne determina il suo effetto. Tutte le cose sono inanimate: è chi le usa che gli fornisce un’anima, e quindi di conseguenza ne determina il suo destino.

Questo vale anche quando per “strumenti” parliamo di strumenti di aggregazione. Mai come in quest’epoca la società si è dotata di tantissimi strumenti di aggregazione, molti dei quali online, e il fatto di avere a disposizione tanti strumenti di aggregazione non può che essere considerata una ricchezza, piuttosto la povertà sta nei contenuti, che lasciano davvero a desiderare. Ma ciò che spesso si dimentica è che anche i contenuti dei social, così come i contenuti di qualunque altro strumento di aggregazione (stadi, discoteche, luoghi della movida in generale), non sono altro che lo specchio dei contenuti che ci siamo dati noi come società, né più né meno. E qui sta il problema.”

In che senso, può spiegarci meglio cosa intende?

Certo, Puoi anche eliminare uno strumento perché a un certo punto lo consideri tossico, ma ne arriverà un altro, e se non cambiano i contenuti valoriali della società, nulla cambierà: anche il nuovo strumento ne sarà inevitabilmente influenzato. Per questo credo che una società evoluta non dovrebbe solo decidere delle regole di convivenza comune, ma prima ancora dovrebbe prendersi a cuore quali siano i valori su cui la stessa debba essere fondata, e poi filtrare, ovvero far sì e verificare che tutto giri intorno a questi valori.”

Dunque il problema dei giovanissimi non sta nell’uso ‘smodato’ dei social, ma piuttosto nella carenza di valori? Quindi il problema potremmo dire sta nella trasmissione degli stessi da parte dei genitori?

Non è proprio così, il problema è che viviamo in un contesto sociale in cui fare il genitore oggi diventa un’impresa proprio perché gran parte di ciò che ci circonda non è allineato con i valori che cerchi di trasmettere ai tuoi figli: questo è il vero problema. Tu magari gli trasmetti degli ideali nobili, sull’amore di sé e degli altri, sul rispetto, sulla solidarietà, sull’onestà e poi li lasci 10 minuti davanti a un televisore oppure su un social, e proprio lì fanno l’incontro con l’esatto opposto di ciò che gli hai appena raccontato. E questo crea dei danni enormi nei ragazzi. In modo particolare è circa da una quindicina d’anni che la comunicazione sociale a livello contenutistico ha iniziato un pompaggio continuo di messaggi trasversali molto pericolosi volti a sottolineare l’importanza della performance individuale come unico elemento distintivo di una persona, ovvero il valore della persona condizionato al suo essere il numero uno, o al suo essere il migliore, o al suo essere il più bello esteticamente.

Tik Tok e sfide: perché i giovani accettano e rischiano? Mancanza di valori?

Quindi è come se nella mente dei giovani, mi passi il termine, vi fosse una continua lotta interiore tra ‘il bene’ , quanto di valoriale hanno cercato di trasmettere i genitori, ed ‘il male ’, quanto invece viene fatto passare per fondamentale per poter essere il numero 1 dai coetanei e della società stessa che da quei valori si è discostata?

Non si tratta della lotta tra il bene ed il male, ma piuttosto della confusione che continuiamo a fare, non solo i giovani, tra l’essere ed il fare, ovvero questo far dipendere il nostro valore personale dalle cose che facciamo e dai risultati che otteniamo, invece l’essere umano vale a prescindere. E da lì si comincia. Infatti, questa comunicazione a livello sociale con il tempo è talmente sfuggita di mano che ha portato i ragazzi da un lato sempre più lontani da ciò che i genitori cercano di trasmettergli, e dall’altro a cercare di sviluppare con tutte le loro forze queste “distorte” dimensioni valoriali  in quanto da loro  considerate come le uniche possibili per poter acquisire un valore e soprattutto perché questo valore gli venga poi riconosciuto socialmente, pena l’isolamento e l’esclusione. L’effetto collaterale di questa mentalità è ben visibile sui giovani stessi dove sentimenti di inadeguatezza, di non sentirsi mai abbastanza, di non sentirsi mai all’altezza, la paura del giudizio e l’ansia in generale sono compagne quotidiane di tanti.”

Quindi le sfide, se ho compreso bene, I giovani sono propensi ad accettarle, non valutando magari nemmeno a fondo i rischi, col solo scopo di far vedere agli altri che non si ha paura e soprattutto si è disposti a tutto pur di far parte del gruppo?

“Purtroppo sì, è un continuo di sfide, sfide per dimostrare che sei il numero uno, sfide per dimostrare che sei il migliore, il più bravo, il più bello, il più giusto (mai il più buono perché la sfida ad essere il più buono per esempio non interessa a nessuno), sfide che quindi non puoi non accettare. Solo che alcune di esse non solo sono mentalmente dannose, sono per di più assurde e pericolose, tanto da portare a volte a qualche tragedia.

TIK TOK

Dunque, a suo avviso, è corretta la politica messa in campo da TIK TOK  dopo la tragedia di Palermo, ossia bloccare l’accesso a quanti non si è certi siano maggiorenni, E’ più che altro un modo da parte dei social per ‘scaricarsi dalle colpe’ o assoluta necessità per provare ad arginare un fenomeno che pare in aumento tra i giovanissimi?

Senza se e senza ma credo che sia opportuno porre delle regole ferree sui Social per evitare questi tipi di tragedie, tutelando i minori e non solo. E sono sicuro che questo passo verrà fatto sempre di più.

Però il porre delle regole credo sia il lavoro più facile, ma anche il meno risolutivo, perché tampona il problema, ma non lo elimina alla fonte.

Cosa si potrebbe fare allora per eliminare il problema alla fonte?

Rivedere i contenuti valoriali della nostra società e far si che tutto sia allineato con questi contenuti sarebbe invece la vera sfida, quella davvero risolutiva: il paradosso di una “sfida”, l’unica davvero utile e l’unica senza effetti collaterali e né pericolosa, l’unica dalla quale, invece, continuiamo come società sistematicamente a sottrarci, cercando poi il problema altrove, attribuendo, ad esempio, le colpe di una tragedia al social utilizzato.”

Ringraziamo di cuore Aldo Ronco per questo interessante confronto.

Erica Venditti

Erica Venditti, classe 1981, dal 2015 giornalista pubblicista. Dall'aprile 2012 ho conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Ricerca Sociale Comparata presso l’Università degli studi di Torino. Sono cofondatrice del sito internet www.pensionipertutti.it sul quale mi occupo quotidianamente di previdenza.

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