Nasce a Betlemme, un remoto villaggio della Terra d’Israele. Il suo nome è Gesù. Durante i primi trent’anni della sua esistenza, partecipa alla vita e al lavoro quotidiano di una famiglia normale. Quindi, per tre anni, annuncia al popolo gli insegnamenti di Dio, guarisce i malati; sceglie dei collaboratori, ai quali affida l’incarico di continuare la sua opera. Egli viene condannato a morte e ucciso, ma dopo tre giorni risorge dai morti. Gesù afferma che Dio è nostro Padre, amorevole e misericordioso e ci invita a pregarlo con fiducia in ogni necessità. Egli ci insegna che siamo tutti preziosi agli occhi di Dio. Che l’amore è la prima legge che sostiene la convivenza umana. Gesù si definisce la Via, la Verità, la Vita. Egli è il Figlio di Dio. Il suo insegnamento sfida le credenze religiose e morali del tempo. E oggi esso, insieme alla persona viva di Gesù, è il fondamento della fede e della vita della Chiesa e dei cristiani.
I cristiani iniziano a festeggiare il giorno del Natale solo intorno al IV secolo d.C., riallacciandosi a tradizioni e festività già esistenti e caricandole di un messaggio completamente nuovo. Tra queste va sicuramente menzionata la festa ebraica dell’Hannukkah, in cui viene ricordata la consacrazione del Secondo Tempio di Gerusalemme, ordinata da Giuda Maccabeo dopo la terribile occupazione ellenica del II secolo a.C. che voleva portare il popolo ebraico ad adottare alcune pratiche contrarie alla propria religione.
La Chiesa celebra con la solennità del Natale la manifestazione del Verbo di Dio agli uomini. E’ questo infatti il senso spirituale più ricorrente, suggerito dalla stessa liturgia, che nelle tre Messe celebrate oggi da ogni sacerdote offre alla nostra meditazione “la nascita eterna del Verbo nel seno degli splendori del Padre (prima Messa); l’apparizione temporale nell’umiltà della carne (seconda Messa); il ritorno finale all’ultimo giudizio (terza Messa)” (Liber Sacramentorum).
Un antico documento, il Cronografo dell’anno 354, attesta l’esistenza a Roma di questa festa al 25 dicembre, che corrisponde alla celebrazione pagana del solstizio d’inverno, “Natalis Solis Invicti”, cioè la nascita del nuovo sole che, dopo la notte più lunga dell’anno, riprendeva nuovo vigore.
Celebrando in questo giorno la nascita di colui che è il Sole vero, la luce del mondo, che sorge dalla notte del paganesimo, si è voluto dare un significato del tutto nuovo a una tradizione pagana molto sentita dal popolo, poiché coincideva con le ferie di Saturno, durante le quali gli schiavi ricevevano doni dai loro padroni ed erano invitati a sedere alla stessa mensa, come liberi cittadini. Le strenne natalizie richiamano però più direttamente i doni dei pastori e dei re magi a Gesù Bambino.
In Oriente la nascita di Cristo veniva festeggiata il 6 gennaio, col nome di Epifania, che vuol dire “manifestazione”; poi anche la Chiesa orientale accolse la data del 25 dicembre, come si riscontra in Antiochia verso il 376 al tempo del Crisostomo e nel 380 a Costantinopoli, mentre in Occidente veniva introdotta la festa dell’Epifania, ultima festa del ciclo natalizio, per commemorare la rivelazione della divinità di Cristo al mondo pagano. I testi della liturgia natalizia, formulati in un’epoca di reazione alla eresia trinitaria di Arlo, sottolineano con accenti di calda poesia e con rigore teologico la divinità del Bambino nato nella grotta di Betlem, la sua regalità e onnipotenza per invitarci all’adorazione dell’insondabile mistero del Dio rivestito di carne umana, figlio della purissima Vergine Maria (“fiorito è Cristo ne la carne pura”, dice Dante).
L’Incarnazione di Cristo segna la partecipazione diretta degli uomini alla vita divina. La restaurazione dell’uomo mediante la spirituale nascita di Gesù nelle anime è il tema suggerito dalla devozione e dalla pietà cristiana che, al di là delle commoventi tradizioni natalizie fiorite ai margini della liturgia, ci invita a meditare annualmente sul mistero della nostra salvezza in Cristo Signore.