Il 22 Maggio la Chiesa celebra santa Rita da Cascia, una tra le più venerate ed invocate figure della santità cattolica italiana, per i prodigi operati e per l’umanissima vicenda terrena. Non tutti sanno che la sua beatificazione avvenne solo 180 anni dopo la morte, mentre la canonizzazione a distanza di ben 453 anni (Sant’Antonio di Padova, ad esempio, fu proclamato santo un anno dopo la morte).
Santa Rita è conosciuta anche come la “santa dei casi impossibili o disperati”; in altre parole, di quei casi, per cui, umanamente parlando, non ci sono più speranze e che con la sua intercessione, tante volte miracolosamente si sono risolti comunque. Inoltre, secondo un sondaggio effettuato dall’inizio della pandemia, è risultata la santa più invocata sui social network per ottenere una guarigione miracolosa dal Covid-19.
Nata intorno al 1381 a Roccaporena, nell’attuale provincia di Perugia, Rita crebbe nell’obbedienza ai genitori, che le trasmisero i più vivi sentimenti cristiani. Già dai primi anni dell’adolescenza la ragazza manifestò apertamente la vocazione alla vita religiosa, infatti ogni volta che le era possibile, correva al monastero di Santa Maria Maddalena nella vicina Cascia.
A tredici anni i genitori la promisero in matrimonio a un certo Fernando Mancini, un giovane del borgo, conosciuto per il suo carattere forte, impetuoso, e a volte persino violento. Rita non fu entusiasta del matrimonio combinato, ma nonostante ciò ubbidì ai genitori convolò a nozze con quel giovane ufficiale del quale “fu vittima e moglie”. Sopportò con pazienza ogni maltrattamento, senza mai lamentarsi. Con la nascita di due gemelli e la perseveranza a rispondere con la dolcezza alla violenza, riuscì a trasformare il carattere del marito e renderlo più docile; fu un cambiamento che fece vivere in pace tutto il paese, che per anni ne aveva dovuto subire le angherie.
I figli furono educati secondo i principi cristiani, ma purtroppo assimilarono anche gli ideali e regole della comunità casciana, che fra l’altro riteneva legittima la vendetta. Purtroppo l’occasione di vendicarsi capitò qualche anno dopo: una sera il padre fu ucciso in un’imboscata mentre tornava a casa da Cascia. Ai figli ormai quindicenni, Rita cercò di nascondere la morte violenta del padre, ma da quel drammatico giorno, visse con il timore della perdita anche dei figli. Gli assassini del marito infatti erano decisi a sterminare tutti gli appartenenti alla famiglia Mancini. Nel frattempo i cognati della vedova erano decisi a vendicare l’uccisione di Fernando e si conseguenza anche i suoi figli sarebbero stati coinvolti in quella grande e terribile vendetta.
Si racconta che Rita per sottrarli a questa sorte, abbia pregato Cristo di non permettere che le loro anime si perdessero. Chiese a Dio di riprendersi i figli, purché non si macchiassero a loro volta della vendetta e dell’omicidio. Un anno dopo i due fratelli si ammalarono e morirono, fra il dolore atroce della madre.
Santa Rita è un modello di donna adatto per i tempi duri. Il secolo nel quale è vissuta è ricordato in gran parte per le lotte fratricide, le pestilenze, la fame, le carestie e gli eserciti di ventura che invadevano di continuo l’Italia. A complicare la sua vita si misero di mezzo anche la cattiveria e la violenza delle faide locali, nella quali rimase coinvolta e le distrussero quel poco che aveva. Ma non si abbatté ed ebbe il coraggio di lottare, per fermare la vendetta e scegliere la pace. Nutriva una buona fama tra la gente che spesso la cercava per chiederle di fare da giudice di pace nelle dispute: fu un esempio fulgido di donna dedita alla pace, alla giustizia, alla misericordia e al perdono.
Sola, senza marito e figli, si rivolse alle Suore Agostiniane del monastero di Cascia per diventare monaca ma fu respinta per tre volte. Sembra che le monache temessero di essere coinvolte nella faida tra famiglie del luogo e solo dopo una riappacificazione, avvenuta pubblicamente fra i fratelli del marito ed i suoi uccisori, venne accettata nel monastero. Correva l’anno 1407. La novizia s’inserì nella comunità conducendo una vita di esemplare santità, praticando carità, pietà e tante penitenze, così che in breve suscitò l’ammirazione delle consorelle e della popolazione.
Devotissima alla Passione di Cristo, desiderò condividerne i dolori e questo costituì il tema principale delle sue meditazioni e preghiere. Gesù la esaudì e un giorno nel 1432, mentre era in contemplazione davanti al Crocifisso, sentì una spina della corona del Cristo conficcarsi nella fronte, producendole una profonda piaga la quale scomparve soltanto in occasione di un suo pellegrinaggio a Roma, fatto per perorare la causa di canonizzazione di San Nicola da Tolentino.
Nell’unione con l’amatissimo Cristo sulla Croce, visse gli ultimi quindici anni della sua vita nella sofferenza, logorata dalle fatiche ma anche dai digiuni e dall’uso dei flagelli. Negli ultimi quattro anni la Comunione eucaristica fu quasi esclusivamente l’unico sostentamento, questo le provocò una forte debilitazione che la costringeva a restare coricata sul suo giaciglio per quasi tutto il tempo.
In questa fase finale della sua esistenza avvenne uno dei miracoli più conosciuti: impossibilitata a muoversi dal letto, ricevette la visita di una parente che, nel congedarsi, le chiese se desiderava qualcosa della sua casa di Roccaporena. Rita rispose che le sarebbe piaciuto ricevere una rosa dall’orto, ma la parente obiettò che era inverno e quindi non era possibile. Ma la suora insistette. Tornata a Roccaporena, la parente entrò nell’orticello e, in mezzo ad un rosaio, vide una bella rosa sbocciata. Meravigliata, la colse e la portò a Rita a Cascia la quale, ringraziando, la consegnò alle stupite consorelle. Da quel giorno la santa vedova, madre e suora, divenne la “santa della Spina” e la “santa della Rosa”. Per questo motivo nel giorno della sua festa le rose vengono benedette e distribuite ai fedeli.
Il 22 maggio 1447 (o 1457, come viene spesso ritenuto) Rita passò a miglior vita, mentre le campane da sole suonarono a festa, annunciando la sua “nascita” al cielo. Si narra che il giorno dei suoi funerali comparvero delle api nere, che si annidarono nelle mura del convento e ancora oggi vivono lì: sono api che non hanno un alveare, non fanno miele e da cinque secoli si riproducono fra quelle mura.
Per singolare privilegio il suo corpo non fu mai sepolto: fu deposto in una cassa di cipresso, poi andata persa in un successivo incendio, mentre il corpo miracolosamente ne uscì indenne e riposto in un artistico sarcofago ligneo. Il sarcofago è oggi conservato nella nuova basilica costruita nel 1937-1947; lì il corpo di Santa Rita riposa incorrotto in un’urna trasparente, esposto alla venerazione dei milioni dei pellegrini da tutto il mondo.
il 24 maggio 1900 papa Leone XIII la canonizzò solennemente. Al suo nome vennero intitolate tante iniziative assistenziali, monasteri, chiese in tutta l’Italia ma anche in tutto il mondo.
Don Alessio Yandusheff-Rumyantseff