Cipriano nasce tra il 1110 e il 1120 da una nobile e ricca famiglia di Reggio Calabria. E’ figlio di un medico e così diviene egli stesso un esperto di scienza medica. Tuttavia alla salute fisica egli preferisce quella spirituale: a 25 anni entra a far parte dei monaci del Monastero del Santissimo Salvatore di Calanna.
La vita monacale caratterizzata da veglie, lavoro e penitenze non soddisfa però completamente Cipriano, per cui chiese ed ottiene di praticare vita eremitica. Si ritira nei possedimenti del padre alcuni chilometri sopra Pavigliana, sulle colline a Sud-Est di Reggio Calabria, dove sorge era una chiesa dedicata a Santa Veneranda martire. Oggi è possibile vedere una serie di grotte, testimonianza di una presenza attiva di eremiti che qui conducevano vita ascetica in penitenza ed in preghiera, e proprio in queste grotte San Cipriano trascorse venti anni nella più totale solitudine, lavorando attivamente per guadagnarsi da vivere, pregando, meditando e facendo penitenza. La sua presenza è presto nota nella vallata, i cui abitanti si recano dall’eremita per ottenere aiuto per la salute o per l’infermità e alcuni chiedono di poter restare con lui.
Il caso vuole che proprio in quel periodo muoia l’abate Paolo del Monastero di San Nicola di Calamizzi e i monaci che si recano in pellegrinaggio chiedono a Cipriano di essere loro nuovo abate. Pensando che questa sia la volontà di Dio, all’età di sessant’anni egli accetta. Divenuto abate, favorisce notevolmente la vita spirituale e culturale dei monaci, fa restaurare la chiesa del monastero, ne fa costruire il campanile, le celle per i confratelli e il refettorio, inoltre acquista arredi e libri per la struttura. Ciò attesta che la sua nuova attività non conosce sosta, infatti il giorno lavora e cura gli ammalati, la notte prega per loro.
Un giorno Cipriano cade dal carro che usa per spostarsi, procurandosi una frattura ad una gamba, il che lo rende invalido per il resto della vita. Dopo aver chiesto perdono a tutti, muore il 20 novembre 1190. Viene seppellito nella chiesa del monastero, che andrà distrutta dal terremoto del 1783 durante il quale i monaci che popolano l’edificio restano miracolosamente illesi.